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Articoli filtrati per data: Venerdì, 10 Maggio 2013
Venerdì, 10 Maggio 2013 22:00

17/12/2011 -3° Ediz. Premio Orione

 A

 

24

 

 

prof. Nazareno Saitta (avvocato, ordinario di Diritto Amministrativo presso la Facoltà di “Giurisprudenza” dell’Università degli Studi di Messina), 

 

 

 

22 

 

 

dott. Alessandro D’Angelo (Presidente del Gruppo Interforce Jonica - GIJ),

 

 

 

 47

 

 

 

dott. Francesco Patanè (Dirigente Medico – Direttore U.O.C. di Cardiochirurgia presso l’Azienda Ospedaliera Papardo di Messina),

 

 

 

 

51

 

 

 

dott. Vincenzo Panebianco (Primario chirurgo, Direttore di Struttura Complessa presso la Divisione di Chirurgia Generale a indirizzo Oncologico dell’Ospedale di Taormina),

 

 

 

 

 

49

 

 

 

prof. Santi Fedele (ordinario di Storia Contemporanea nella Facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università degli Studi di Messina),

 

 

 

 

 

 

28

 

 

 

 dott.ssa Giuseppa Cassaniti (Presidente dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada ONLUS),

 

 

 

 

 

 

73

 

 

 

 

dott. Armando Penna (esperto d’arte) e al prof. Paolo Magaudda (Sovrintendente dell’Ente Teatro di Messina).

 

 

 

 

 

Messina – Sabato, 17 dicembre 2011, con inizio alle ore 17, presso il “Salone degli Specchi” del Palazzo dei Leoni, sede della Provincia Regionale di Messina, ha avuto luogo la cerimonia di consegna del Premio “ORIONE” 2011, evento giunto ormai alla terza edizione, al quale il Presidente della Repubblica ha voluto destinare una medaglia quale suo premio di rappresentanza, e organizzato dall’Associazione Culturale “Messinaweb.eu” in sinergia con l’Assessorato alle Politiche Culturali della Provincia Regionale di Messina.

Nutrita l’affluenza alla manifestazione, presentata dall’avvocato Silvana Paratore. Giova ricordare, fra le Autorità, il Generale di Divisione Ermanno Meluccio (Comandante Interregionale Carabinieri “Culqualber”), il C.V. Antonino Samiani (Comandante dell’Autorità Marittima della Navigazione dello Stretto di Messina), il dott. Pippo Previti (Presidente del Consiglio Comunale del Comune di Messina), il C.F. Antonino Porcino (in rappresentanza del C.V. Santo Legrottaglie, Comandante del Distaccamento di Messina della Marina Militare), il dott. Mario D’Agostino (Assessore alle Politiche Culturali della Provincia Regionale di Messina), e l’architetto Salvatore Magazzù (Assessore alle Politiche Scolastiche del Comune di Messina). Erano, inoltre, presenti il Capitano Vincenzo Muscatello (apprezzato Ufficiale del Corpo Militare e Delegato di Protezione Civile del Comitato Provinciale di Messina della Croce Rossa Italiana), il prof. Domenico Venuti (Commissario della Sezione di Messina dell’Associazione Nazionale del Fante) Armando Pesco (Presidente della Sezione di Messina dell’Associazione Nazionale Carabinieri), Flavia Vizzari (Presidente dell’Associazione Siciliana Arte e Scienza), Titti Crisafulli (Presidente dell’Associazione Studio d’Arte “L’Etoile”) e i rappresentanti di numerose Associazioni afferenti al panorama culturale della città dello Stretto.

Nel corso della manifestazione è stato assegnato il premio al prof. Nazareno Saitta (avvocato, ordinario di Diritto Amministrativo presso la Facoltà di “Giurisprudenza” dell’Università degli Studi di Messina), al dott. Alessandro D’Angelo (Presidente del Gruppo Interforce Jonica - GIJ), al dott. Francesco Patanè (Dirigente Medico – Direttore U.O.C. di Cardiochirurgia presso l’Azienda Ospedaliera Papardo di Messina), al dott. Vincenzo Panebianco (Primario chirurgo, Direttore di Struttura Complessa presso la Divisione di Chirurgia Generale a indirizzo Oncologico dell’Ospedale di Taormina), al prof. Santi Fedele (ordinario di Storia Contemporanea nella Facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università degli Studi di Messina), alla dott.ssa Giuseppa Cassaniti (Presidente dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada ONLUS), al dott. Armando Penna (esperto d’arte) e al prof. Paolo Magaudda (Sovrintendente dell’Ente Teatro di Messina).

Due gli intermezzi musicali in scaletta. Sono, infatti, intervenuti i ragazzi del gruppo laboratorio musicale “BLU OLTREMARE”, coordinato dalla prof.ssa Paola Lucchesi e dal prof. Nello Mastroeni (soliste: Sonia Santamaria e Dora Scognamiglio; arpa: Deborah Ferraro; coro: Roberta Lentini, Loredana De Cola, Teresa D’Arrigo e Federica Sangiorgio), dell’Istituto Tecnico “A.M. Jaci”, e il gruppo “ARGENO”, che ha presentato il recital "Sciroccu": testi di Giuseppe Cavarra; musiche di Mario Rizzo; interpreti Maria Costa (poetessa), Mario Rizzo (chitarra e voce), Carla Trimarchi (voce), Santino Triolo (fisarmonica), Pietro Longo (basso), Carmelo Saterno (percussioni).

Ha preso parte all’evento anche una rappresentanza del Gruppo Interforce Jonica (GIJ), organismo di coordinamento delle organizzazioni aderenti, già presenti sul territorio della riviera jonica da diversi anni, nell’ambito delle attività di Protezione Civile, di salvaguardia dell’ambiente naturale e antropico e di tutela dei Beni Culturali, che ha allestito una mostra di mezzi e materiali di pronto intervento in casi di emergenza. In particolare, erano presenti la Misericordia di Messina (Nuccio Malvaso e Francesca Farina), la Misericordia “San Giuseppe” di Letojanni (Antonio Riccobene, Salvatore Longo, Bezzabea Manigrasso e Rosalba Gullotto), Radio Valle Alcantara (Daniele Rizzo, Gaetano Castorina, Salvatore Spadaro, Matteo Giuffrida e Giacomo Caridi), Rangers International delegazione di Letojanni (Dario Santoro e Roberto Chiaia), il Gruppo Comunale di Giardini Naxos (Omar Borbone, Francesco Muscarà e Concetto Di Marco), e il Gruppo Comunale di Furci Siculo (Stefano Morales, Valentina Russo, Rossella Todaro, Carmelina Cilla e Francesco Moschella).

Il Premio “Orione”, conferito a otto personalità messinesi che si siano distinte nel mondo della storia, dell’arte, della medicina, del diritto, della cultura e del sociale, vuole contribuire a rendere ulteriormente vitale il già fertile panorama socio-culturale della Provincia di Messina.

L'Associazione Culturale “Messinaweb.eu” (sito www.messinaweb.eu ), presieduta da Rosario Fodale, si occupa di diffondere la cultura nel mondo giovanile e non, di ampliare la conoscenza della cultura attraverso i contatti fra le persone, gli enti e le associazioni, di proporsi quale luogo di incontro e di aggregazione nel nome di interessi culturali, assolvendo alla funzione sociale di maturazione e crescita umana e civile attraverso l’ideale dell’educazione permanente, di porsi quale punto di riferimento per quanti, svantaggiati o diversamente abili, possano trovare, nelle varie sfaccettature ed espressioni della cultura, un sollievo al proprio disagio.

Pubblicato in Anno 2011

 - di Giuseppe Ugo Amodeo -

Dopo l’Islanda ed il Portogallo anche la Sicilia si accinge a trasformare l’energia derivante dal moto ondoso del mare in energia elettrica.  

Il Ministero dell’Ambiente, nell’ambito dei finanziamenti relativi al fondo per i progetti innovativi e le energie rinnovabili, per il 2010 ha stanziato 239.250 euro per il progetto Impetus.

Impetus, acronimo di Idrogeno Marino per Energie Terrestri Utilizzabili e Sostenibili, è un progetto proposto dal Dipartimento di Ricerca Energetica e Ambientale dell’Università di Palermo, dal Consorzio Universitario della Provincia di Trapani e dalla Società SGES.

Il progetto prevede un generatore elettrico da moto ondoso e con l’energia elettrica prodotta sarà effettuata l’elettrolisi dell’acqua, cioè la scissione nei due componenti idrogeno ed ossigeno. L’idrogeno ottenuto dovrebbe servire per alimentare servizi di trasporto pubblico.

Gli impianti dovrebbero sorgere a Trapani nelle vicinanze di Torre di Ligny, eretta nel 1671 a difesa della città contro le incursioni saracene, e dedicata al viceré Don Claudio La Moraldo, principe di Lignè, da cui il nome.

Si precisa che il finanziamento prevede anche lo studio del moto ondoso nel litorale, che partendo appunto da Torre di Ligny arriva fino a Marsala e la successiva costruzione dell’impianto.

Nell’isola scozzese di Isley, è sorto all’inizio del 2000, un impianto che è stato denominato “Limpet” (patella) per produrre energia elettrica dal moto ondoso.

La centrale consiste in una struttura di cemento, larga 20 metri, ed una turbina. La struttura in cemento ha la forma di una patella attaccata ad uno scoglio. La “patella” sembra respirare affannosamente. Si tratta dell’aria che entra ed esce dalla turbina. L’apparecchio trasforma la forza delle onde in aria compressa. Le onde in arrivo penetrano nell’immensa camera di cemento armato e comprimono l’aria che si trova al suo interno. Quando l’acqua esce dalla camera, l’aria si espande ed entra con violenza nella patella. La corrente d’aria così generata mette in moto una cosiddetta turbina Wells, dal nome dell’ideatore, che si trova all’imbocco superiore della patella. Questa turbina mantiene la sua direzione di rotazione sebbene la direzione della corrente d’aria cambi periodicamente. L’impianto descritto immette energia elettrica nella rete con una potenza di 250 KW.

Oltre alla “patella” originale lunga dieci metri, si sta ora sperimentando una turbina di tre metri che, con una potenza nominale di 18,5 chilowatt, che produce quasi la stessa quantità di energia elettrica della precedente.

L’impianto in Portogallo è entrato in funzione nel 2008 ad Aguçadoura. E’costituito da tre “salsicciotti” o “serpentoni marini” ognuno lungo 143 metri e largo 3 metri e mezzo posti a tre miglia dalla costa ancorati al fondale in modo da permettere il rollio e il beccheggio. La sezione del tubo si oppone al movimento indotto dal passaggio delle onde provocando così al proprio interno il movimento di pistoni idraulici. che alimentano un sistema idraulico con olio pressurizzato per la produzione di energia elettrica. L’attuale impianto e’ in grado ogni anno di fornire energia elettrica a 500 case. Il progetto e’ della Pelamis wave power.

Ci sono allo studio ipotesi per concentrare e focalizzare le onde in modo da aumentarne l’altezza e il potenziale di conversione in energia elettrica. Altre ipotesi prevedono invece di utilizzare le variazioni di pressione che sì riscontrano al di sotto della superficie del mare, altre utilizzano dei galleggianti che "copiano" il moto ondoso trasferendolo a dei generatori per mezzo di pistoni idraulici.

Un altro progetto è di un sub finlandese, Rauno Koivusaari che ha ricevuto l’ispirazione tuffandosi nel Mar Baltico per esplorare il relitto di una nave. Il suo capo andò ad urtare una porta che la corrente faceva costantemente oscillare. E infatti il progetto WaveRoller può essere descritto come una porta basculante sommersa che con il suo movimento mette in moto un generatore di energia elettrica.

Siamo in attesa di conoscere quale nuovo tipo di progetto il fulgido ingegno dei ricercatori siciliani ci proporrà, ma soprattutto nutriamo la speranza che almeno venga realizzato un progetto pilota. Se la somma stanziata dal Ministero dell’Ambiente, alla fine, dovesse servire per studi teorici per noi siciliani sarebbe una grossa delusione.

Pubblicato in Giornalando

- di Guido Signorino -

  

Il momento storico nel quale  viviamo è  caratterizzato da una profondissima crisi economica e finanziaria e da tragici eventi causati dal ripetersi di fenomeni meteorologici eccezionali e dall’incuria dell’uomo.

È superfluo ricordare che questi tragici eventi colpiscono tutto il territorio nazionale, ma – con inquietante frequenza – lo specifico territorio nel quale io mi trovo ad operare. Questo riferimento al “luogo comune” che è il territorio dove vivo, non è dovuto a moti di nostalgia ancestrale, né a piccole vanità provinciali. Il fatto è che, proprio nel messinese, si consuma una vicenda politica esemplare ai fini di un discorso su territorio “mangiato” e difesa di un “bene comune” atipico (almeno dal punto di vista della definizione economica di “bene comune”) quale è il territorio.

Mi riferisco al gigantesco spreco di risorse pubbliche costituito dal progetto di un ponte sullo Stretto di Messina, reso ancor più indigesto dallo stato di degrado e rischio idrogeologico del territorio sul quale, con un insopportabile impatto ambientale, naturalistico, paesaggistico, tale infrastruttura verrebbe a collocarsi.

Nell’ottica economica della “sostenibilità”, della “equità intergenerazionale” e della costruzione e tutela dei “beni comuni”, la realizzazione di qualunque intervento sul territorio deve rispondere ad alcune domande preliminari:

È da due mesi disponibile il “Progetto Definitivo”, verso il quale Italia Nostra (con il WWF e Legambiente)  ha esposto le “osservazioni” entro la scadenza  del 27 novembre. Per rispondere a queste tre domande farò dunque riferimento non a ipotesi o suggestioni, ma (per quanto possibile e per quanto nelle mie competenze e conoscenze) ai dati del progetto definitivo. Proverò ad esporre alcune osservazioni, concludendo che il ponte è infrastruttura che non tutela né il “bene  comune”, né i “diritti” delle generazioni future.

Un ponte, qualsiasi ponte, ha un senso in quanto infrastruttura di trasporto. La sua costruzione si giustifica solamente se, e nella misura in cui, offre beneficio alla società, servendone in maniera adeguata le esigenze di trasporto. Quando nell’agosto 2003 il CIPE approvò il progetto preliminare, raccomandò anzitutto di procedere ad un attento monitoraggio dei flussi di traffico, che rappresentavano ad un tempo la base per l’evidenza di un effettivo vantaggio economico e sociale del progetto ed il suo aspetto più critico.

Il progetto definitivo non ottempera a questa raccomandazione in maniera soddisfacente. Infatti la relazione di aggiornamento (che propone un modello trasportistico del tutto differente rispetto al preliminare, con ciò dichiarando l’inadeguatezza del precedente approccio)risulta ancora metodologicamente carente e, per alcuni versi, incompleto e contraddittorio. Non è il caso di entrare nel dettaglio tecnico in questa sede, ma può forse servire sapere che, attraverso alcune forzature in virtù delle quali la sola costruzione del ponte sembrerebbe quasi raddoppiare il tasso di crescita del PIL in Sicilia ed in Calabria, il nuovo modello prevede un flusso di autovetture e di autocarri sostanzialmente in linea con gli scenari intermedi del progetto preliminare (fino a 6.000.000 di autovetture e fino a 2.750.000 autocarri nel trentesimo anno di esercizio dell’opera). Con la differenza che, mentre nel progetto preliminare il costo da recuperare con questi passaggi era pari a 4,4 miliardi di Euro, oggi questo è sostanzialmente raddoppiato: 8,5 miliardi. E nulla, nel progetto definitivo, mostra che questo flusso di passaggi (atteso che sia credibile la sua stima) possa sostenere i nuovi costi. Già, perché il progetto definitivo (o per lo meno la documentazione resa pubblica) non contiene alcuna analisi costi-benefici del progetto, né presenta il Piano Economico Finanziario dell’opera. Ad una richiesta di accesso agli atti avanzata dalle tre associazioni, i progettisti hanno risposto negativamente, argomentando tra l’altro che “solo a conclusione delle procedure [di approvazione del Progetto Definitivo] si potrà definire e approvare il nuovo Piano Economico Finanziario”, con ciò candidamente confessando che tale Piano non c’è. Il che potrebbe far considerare incompleta ed irricevibile la progettazione detta “definitiva”. Non è dato dunque di sapere (o di poter valutare) se un’opera dal costo di 8,5 miliardi genera un adeguato beneficio per la società.

Ancora, le analisi dei trasportisti spiegano che il tasso di utilizzo del ponte non supera, al massimo, il 10-15% della sua capacità teorica. Come dire: si costruisce un insediamento di 100 palazzine sapendo che non ne saranno utilizzate più di 15! Lo spreco di risorse è di tutta evidenza.

Veniamo alla seconda domanda, relativa ai termini in cui questo spreco di risorse produce un “consumo” di territorio, particolarmente grave in un’area esposta ad un così grave rischio sotto il profilo idrogeologico. Un dato per tutti. La realizzazione del ponte e dei raccordi stradali e ferroviari (molti dei quali in galleria) determina letteralmente una montagna di detriti: 10 milioni di metri cubi circa di materiali di scavo. Di questi, una parte non irrilevante verrà depositate in discariche situate nelle zone a monte della città, a ridosso di luoghi abitati, in siti di impluvio, determinandone un “tappo” fisico non previsto dalla natura. Il problema non è tanto relativo alla tenuta delle strutture di contenimento, quanto al fatto che le acque che con evidente e tragica abbondanza cadono nel messinese necessitano di canali di scorrimento verso il mare. L’ostruzione di questi canali determina la necessità per le acque di trovare altre vie di deflusso, con l’evidente incremento del rischio di allagamenti e frane in un territorio già così provato e fragile. Appare evidente che l’impatto del ponte non è limitato alla irreversibile alterazione dell’equilibrio paesaggistico imposto dalle sue dimensioni (torri di 400 mt. che superano l’altezza delle colline circostanti) o alle interferenze che esso determina con le specie faunistiche o naturali che popolano l’ambiente, ma riguarda lo stesso equilibrio idrogeologico del territorio e la sicurezza abitativa della città.

Infine, possiamo considerare adeguata a tutelare i diritti e le condizioni di vita delle future generazioni questa infrastruttura? Se, in una prospettiva economica, consideriamo non solamente il costo dell’opera, ma anche il sistema tramite cui si ipotizza di ammortare tale costo, anche questa domanda riceve una risposta negativa. L’ipotesi, infatti, quando ancora il costo stimato era fissato a 4,4 miliardi, era che l’ammortamento avvenisse non nei termini ordinari della durata della concessione (30 anni), ma nell’arco di due concessioni (30+30 anni). Alla scadenza della prima, lo Stato avrebbe riacquistato la concessione dalla Società Stretto di Messina per un valore massimo pari alla metà del costo di investimento, ossia pari a circa 4 miliardi e mezzo.

Questo valore verrebbe poi recuperato dallo Stato tramite un’asta per la collocazione di un nuovo periodo di concessione. Ma l’esito felice dell’asta ha come presupposto che la domanda di attraversamento del ponte sia stata adeguatamente sostenuta. Se, come è molto più probabile, tale domanda dovesse essere insufficiente, determinando perdite nella gestione dell’infrastruttura, il valore di mercato della concessione crollerebbe e lo Stato non sarebbe più in grado di recuperare il valore trasferito al concessionario, determinando nuovo debito pubblico. Come si vede, in barba alla retorica del projectfinancing, tutto il rischio di un’opera decisa irresponsabilmente dalla generazione presente viene assunto dal settore pubblico e trasferito in carico delle generazioni future.

In conclusione, il ponte costituisce un chiaro esempio di come le scelte di governo del territorio non sono neutrali rispetto alla tutela dei beni comuni e dei diritti delle generazioni future. I principi di responsabilità e di precauzione dovrebbero ispirare la determinazione di tali scelte e, nel caso di cui parliamo, dovrebbe imporre un immediato blocco delle procedure di approvazione del progetto definitivo, anche al fine di evitare il danno erariale delle “penali” che potrebbero, in questa fase, rappresentare il vero obiettivo delle imprese coinvolte nella progettazione. Politicamente, sarebbe essenziale giungere nei termini più rapidi possibile alla soppressione della Società Stretto di Messina SpA, in modo da interrompere un insopportabile spreco di denaro pubblico.

Pubblicato in Giornalando

 

- di Lella Vultaggio -

 

Non sembri neppure siciliana…

Sei simpatica, intelligente, aperta non pensavo i siciliani fossero come te…

Con tali frasi mi accoglievano, a Bologna, i colleghi di lavoro nel lontano 1963 , quando ebbi la prima nomina per insegnare materie letterarie nella Scuola Media Unificata.

Le frasi non erano ostili, in fondo esprimevano simpatia ed anche un senso di liberazione per loro , costretti a supplire le ore dell’insegnate di lettere che non era stata ancora nominata, a un mese dall’apertura delle scuole, poiché esaurite le graduatorie degli aventi diritto, in tutta Bologna e provincia non si trovavano più laureati che potessero ricoprire il ruolo Proprio di laureati, in giro, non se ne trovavano. A Bologna

Ancora non era esplosa la scuola di massa , si sarebbero dovuti diplomare i giovani che, intrapreso il percorso della scuola media obbligatoria e poi di quella superiore, avrebbero deciso o avuto la fortuna di frequentare l’Università.

L’Emilia Romagna anni 60, terra di piccoli imprenditori, coltivatori diretti, agricoltori con aziende fiorenti nel campo della trasformazione delle carni suine e della conservazione dei cibi, impiegava molto bene in tali settori lavorativi , i suoi giovani e le sue giovani.

Con la nomina di insegnanti e il contratto di lavoro per un anno, arrivavano i giovani laureati dal Sud. Non solo per la scuola, anche per ricoprire ruoli dirigenziali per le poste i tribunali e altri enti statali .

La chiamata dei “laureati” dal Sud deve aver fatto scattare, nei nativi del profondo Nord , la molla del complesso di inferiorità intellettuale se con aggressività , quasi colpevolizzandoci ci dicevano che “…tanto in Sicilia le lauree le regalano “ e che “ loro del Nord preferivano lavorare e mandare avanti l’economia del paese, contrariamente ai meridionali scansafatiche capaci di chiedere soltanto soldi allo Stato e vivere sulle spalle del Nord produttivo… “ e “quelli che si laureano a Bologna devono continuamente difendersi dai meridionali che rubano loro il posto di lavoro, quando non addirittura le donne… ”

Assurde discussioni per sostenere che io la mia laurea l’avevo sudata, perché studiare mi piaceva, perché attraverso la conoscenza , la ricerca , il sapere vedevo l’unica possibilità di emancipazione…

Frequentare il liceo classico a Trapani e poi l’Università , per me adolescente siciliana di genere femminile, alla fine degli anni 60 non è stato un problema . Era questa anche la volontà dei miei genitori, ma capivo perché molti giovani sceglievano l’Università mancando la possibilità di inserirsi, dopo il diploma, nel mondo del lavoro.

Così stranamente, laurearsi in Sicilia aveva più possibilità che in altre regioni d’Italia

….E qui altri LUOGHI COMUNI sull’intelligenza dei meridionali …

Pirandello, Verga , Sciascia …grandi teste ma incapaci di cambiare le cose …. L’aveva capito anche TOMMASI DI LAMPEDUSA

E poi, la gelosia dei Siciliani?

Se io uscivo da sola o con amici maschi …. il riferimento era a CUMPARI TURIDDU , alla lupara . E visto che tornavo sempre a scuola senza lividi o segni di botte del coniuge … scattava, soprattutto da parte delle colleghe, la frase : ma tuo marito ti lascia fare tutto ?

Scusate ma perché mio marito ha il diritto di prelazione… deve darmi il permesso ? perché sono incapace di intendere e volere ?

Razzismo ? forse soltanto pre-giudizi. Non conoscenza, ignoranza e competizione immotivata o semplicemente paura di essere contaminati: da una cultura, anche in senso antropologico, differente.

Erano gli anni del boom economico el’immigrazione era soltanto interna così a disturbare la “ pace sociale” erano gli immigrati “ terroni – detti anche marocchini in senso dispregiativo “ insomma quelli che non si lavavano, buttavano l’immondizia dal balcone e nel bidè conservavano le olive in salamoia e nella vasca da bagno coltivavano prezzemolo.

A Bologna collocarono, tutti i meridionali arrivati per lavorare nelle fabbriche , in edilizia pubblica in un quartiere –ghetto che adesso è utilizzato per gli extracomunitari, mentre chi era arrivato per un lavoro intellettuale, in fondo era autonomo e si integrava facilmente partecipando alla vita culturale della città.

In quel periodo i meridionali immigrati erano oggetto di osservazione sociologica o attenzione giornalistica , così ad una intervista fattami dal Resto del Carlino , quotidiano locale allora diretto da Enzo Biagi, dichiarai, con l’arroganza tipica dei giovani… che sia io che mio marito eravamo arrivati, si con il Treno del Sole non con la valigia di cartone ma con un grosso bagaglio pieno di cultura che a Bologna mancava.

Così il giorno dopo , sul muro della mia scuola lessi a caratteri cubitali “meglio negri che terroni “

Nessuna frase è stata meno profetica di questa Anni dopo i “ negri” sono arrivati assieme ai “ marocchini” gli unici che hanno diritto a pieno titolo di essere chiamati tali e così il rifiuto, la non accettazione, la paura del diverso…. si è spostata su di loro Noi, adesso, siamo sempre gente del Sud ma veniamo considerati intelligenti, generosi, con un grande entroterra culturale alle spalle, un mare meraviglioso, opere d’arte eccellenti, una gastronomia eccezionale…

Un solo neo : non riusciamo a liberarci dalla MAFIA…perché aspettiamo ancora un Garibaldi che faccia il lavoro al posto nostro.

Ho vissuto quasi mezzo secolo della mia vita al Nord. Ho conosciuto artisti, intellettuali, politici, emarginati, immigrati, donne e uomini di questo luogo e di altrove… riscoprendo, anche attraverso il confronto con loro, continuamente le mie origini e le mie profonde radici che affondano nella terra a forma di falce caduta nel mare Mediterraneo.

Sono queste la mia ricchezza e l’energia che ancora oggi dominano la mia esistenza . Rivendico, con forza, il mio essere trapanese che, a mio avviso, e’ un modo particolare, culturalmente ed etnicamente più complesso – di essere siciliani.

dal sito - Trapani Nostra

L'archivio della memoria di Trapani e provincia

Pubblicato in Giornalando
Venerdì, 10 Maggio 2013 16:15

INTERNET E L'EMIGRAZIONE

 

- di Marco Giuffrida -

 

Un passo indietro per focalizzare scenario ed eventi, da cui ha origine questa breve storia che “attraversa” ben due secoli e dura “soltanto” cinquant'anni!


Momenti di gioia, di dolore e, soprattutto, vuoto e silenzi, fino a quando la “Rete” è riuscita con le sue maglie a ripescare quanto inesorabilmente sembrava perduto.

1955. Una “chiamata” a Roma per comunicare a mio Padre che, con la promozione, sarebbe stato trasferito.


“Dove vuole andare, Dottore? A Milano o a Belluno?”


Questa, in sintesi, la domanda che fu rivolta da un Funzionario del Ministero a cui, prontamente, mio Padre rispose: “a Milano!

Immagino il rapido ragionamento fatto per indicare nella Città meneghina la nuova sede: la guerra appena finita e l'Italia, ancora ferita, con un grande bisogno di scuotersi di dosso danni, povertà, addirittura miseria. Già si intuivano i segni di una Rinascita che, proprio in Milano, con le sue Industrie ricostruite ed i Commerci in piena attività, vedeva il “baricentro”.

Non fu Milano ma Belluno! Ad evitare, spiegarono, che nella città Lombarda, il papà potesse avere “legami” che avrebbero potuto condizionare la sua posizione delicatissima di “Servitore dello Stato”.


Lui fu costretto a partire quasi subito per la nuova sede, lasciando la famiglia a Messina in attesa, fra l'altro, di trovare casa e, soprattutto, perché noi ragazzi potessimo finire tranquillamente l'anno scolastico e riprendere i corsi di studio nelle scuole bellunesi.

Tutto semplice, addirittura “liscio”. Apparentemente!

Quattordici anni vissuti nello stesso ambiente, anzi, in un microcosmo “speciale” di Messina. Speciale almeno per me: il Torrente Boccetta!


Un'Oasi dove era possibile incontrarsi e, a seconda dell'età, giocare, discutere, progettare.


Due strade parallele, con al centro l'alveo del Torrente coperto ed arredato con aiole di oleandri e panchine semicircolari in pietra, al cui centro, piccole piante di palme.

Eccomi dunque, dalla primavera all'autunno d'ogni anno, ad incontrarmi all'aperto con i miei amici.


Potrei nominarli tutti ed indicarne il nome, uno ad uno.


Mi piace, però, soffermarmi di più su quattro di loro con cui, anche dopo la mia partenza e per diversi anni, ho mantenuto i contatti. Quattro fratelli: la maggiore, Maria; il primo dei maschi Annibale, poi Franco e, infine, il più piccolo Renato, di pochi mesi allora, a cui la sorella maggiore, spesso, faceva da “mamma”.

Partire è un po' morire dice il vecchio adagio. Unica consolazione il fatto, che all'allontanamento dagli amici si presentava per me l'illusione di un Futuro, probabilmente, migliore lì nel profondo Nord.
Come si diceva, come si sperava.

Ci si immergeva negli anni del boom e del Benessere e lo si avvertiva chiaramente nell'aria.

I miei quattro Amici, dunque.
Ricordo perfettamente la desolazione che colpì la loro famiglia con la morte del Padre. Piansi con loro e giurai a me stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta della mia vita che lo avrei fatto.


Era di maggio, poco prima della fine dell'anno scolastico.
Maria venne a scuola vestita di nero ed Annibale, all'occhiello della giacchetta grigia, portava una vistosa striscia nera. Anche le loro scarpe erano diventate “miracolosamente” ed improvvisamente nere. Così si usava...... dolore “dentro” e lutto, in vista, fuori.

Unii il loro dramma al mio e partii con un carico incredibile di tristezza, mitigato appena,  per quattro anni, dal fitto scambio di corrispondenza che ci tenne aggiornati delle novità, dello stato di salute delle famiglie, dei progressi negli studi....... Un solo incontro, poche ore, nel 1961.

Poi, inevitabile, per il divergere delle nostre Vite ed il trascorrere del tempo, l'affievolirsi dei contatti fino allo spegnersi totalmente.
Infine, solo silenzi.

Di tanto in tanto il risvegliarsi prepotente del Ricordo di quei ragazzi oramai grandi, cresciuti come me ma lontani. E poche angosciose domande, rivolte a me stesso.
Dove cercare? Come?

Oramai il silenzio si era sommato alla nostalgia ed al bisogno, mai soddisfatto, di sapere della loro salute, della loro Vita! Mi restavano soltanto una manciata di foto scattate nell'ultimo incontro, e qualcuna che loro stessi mi avevano inviato.


Certo non intendevo appoggiarmi ad un investigatore privato e neppure ricorrere a quelle assurde e melense trasmissioni radio o televisive. Ma, in qualche modo dovevo farcela!

Quanti gli anni di timide ricerche e, soprattutto di grandi speranze, sempre deluse per riuscire a sapere?


I conti sono presto fatti: una cinquantina d'anni e qualcosa di più.

Poi arrivò Internet.


Con il computer avevo (ed ho) una certa dimestichezza, acquisita con la passione ed il lavoro, e non mi è stato difficile cominciare a cercare.


Non potevo certo pensare che anche i miei amici avessero conoscenze “tecniche” e, dunque, avrei dovuto “provare” con i figli se non, addirittura, con i nipoti.

Chat? Social Network? Si, anche quelli!

Con molta prudenza e riservatezza ho iniziato ad esplorare questi “ambienti” senza successo finché un giorno ho scoperto, e ci sono entrato mettendoci la faccia, il più noto ed importante “punto d'incontro” frequentato da ragazzi ed adulti.


Furono tentativi infruttuosi vagando con frettolosa ansia e senza metodo. Poi, sistematicamente, ho provato ad contattare tutti quelli che avevano il cognome dei miei Amici: “soltanto” duecento novanta fra femmine e maschi, giovani e vecchi.

Ho inviato poche righe chiarificatrici, delicatissime e con tanto di presentazione per chiedere e da cui ho avuto risposta, purtroppo, sempre negativa.

Poi, un giorno, “nell'icona” piccina piccina, una giovane bionda e, sullo sfondo, il porto di Messina.


Provo, con la certezza in cuore, di un'ennesima risposta negativa. “È l'ultima volta”, mi dissi! Invece......

Dopo alcune ore, mentre digitavo altro alla tastiera, un “bip” che mi annunciava l'arrivo di un messaggio!


Eccolo, testuale con qualche piccola omissione: “Buonasera... le persone di cui lei parla sono mio padre (Annibale) ed i mi zii. Quindi credo che abbia trovato il giusto contatto per una CARRAMBATA. Noi viviamo a …....., a parte lo zio Renato che sta in…....., e...si, il panorama alle mie spalle è quello di Messina, sono spesso lì per lavoro.


Saluti”.

Felicità assoluta!


Cinquant'anni e più di ricerche e silenzi cancellati in un attimo grazie a Internet d'apprima, al telefono poi. Ed a Skype, ultimo, con cui ci siamo perfino visti. Ma, nel bene e nel male, soprattutto, abbiamo, HO saputo!!

Ancora non siamo riusciti a incontrarci. La stretta di mano e l'abbraccio fanno parte delle speranze che aiutano a vivere... guardando lontano.

Pubblicato in Giornalando

 

- di Rosario Fodale -

 

Morire in stanza con altri degenti, in un reparto del Policlinico Universitario di Messina non è una esperienza positiva. Ne sa qualcosa il sottoscritto,  Rosario Fodale,  al quale proprio ieri pomeriggio è venuta a mancare l’amata suocera.

L’anziana signora, dopo il decesso, è rimasta per circa due ore e mezzo, nel proprio letto d’ospedale con accanto altri pazienti e con i solerti medici ed infermieri che si dimenavano telefonicamente con il personale della sala mortuaria per la traslazione della salma. Quest’ultima, è stata spostata solo quando i responsabili della sala mortuaria si sono dichiarati disponibili nel riceverla. E nelle due ore e mezza di attesa per la traslazione della salma, vergognoso a dirsi, non si è neppure pensato di trasferire la povera defunta, dalla camera in una stanzetta dello stesso reparto. Il che la dice lunga sulla mentalità, umanità e sensibilità dell’amministrazione dell’ospedale in materia. Mia suocera è deceduta attorno alle 18 e solo verso le 20,30 circa, è uscita dal reparto. Immaginate voi come si potevano sentire gli altri pazienti della stanza costretti a non mangiare, spostati nel corridoio. Vi è chi perfino ha dovuto subire una trasfusione di sangue, accanto alla defunta.

Cose da pazzi!!!! Pazienti deceduti lasciati nelle stesse stanze di quelli ancora vivi che avrebbero diritto di curarsi pensando più alla vita che alla morte!!! Al Reparto di Medicina Interna del Policlinico Universitario di Messina non esiste una “stanza del commiato” per i pazienti appena deceduti che non hanno più bisogno di assistenza,  che sia capace di dare discrezione e tranquillità  ai familiari nel grande dolore del momento.  E così si continua a non capire e a sperare di morire di notte, con la complice discrezione di un’ora in cui i pazienti riposano e gli infermieri, pochi, sono un po’ più liberi. Per disturbare meno e per non bloccare nei tempi tecnici (spesso lunghe ore) le vite degli altri.

V’è di più!!  In tutto il nosocomio, il più importante a livello locale, le uniche due ambulanze adibite non solo per il trasporto dei pazienti da e verso il pronto soccorso ma anche, per, appunto, la camera mortuaria, ad un certo orario non funzionano più. Che indignazione e sdegno per certe disfunzioni e per i numerosi disagi che ne conseguono!!!

Si rivela necessario rieducare alla morte una parte della società: nello specifico gli operatori sanitari, gli amministratori: una sfida che arrivi a far recepire la morte non antagonista ma parte della vita! E’ fondamentale che si umanizzino i processi che circondano eventi simili consentendo agli operatori ospedalieri, di gestire con maggiore delicatezza i sentimenti dei parenti dei defunti di vivere, nel rispetto della morte, con affettuosa tenerezza, il distacco dall’estinto nonché il diritto degli altri degenti e pazienti in cura ricoverati di non assistere a simili visioni.

Chissà se i Responsabili di questo fatto increscioso un domani si trovassero nelle stesse condizioni come  risolverebbero questo problema?

Passiamo la palla a chi di competenza per prendere gli opportuni provvedimenti del caso, quantomeno per una questione di civiltà ed umanità.

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- di Giovanni Tomasello -

 

Già in passato il Professore Giuseppe Francesco Mobilia primario di ginecologia, e attivo nel portare avanti strenuamente le istanze del cittadino-paziente nel vorticoso e intricato sistema sanitario siciliano di recente oggetto di riforma da parte della Regione Siciliana, ci aveva edotto con le sue argomentazioni sempre molto oculate. Questa volta abbiamo voluto rincontrarlo per fare il punto anche e soprattutto sull’attuale situazione precaria che coinvolge l’Ospedale di Lipari che nelle intenzioni della Regione sembra debba essere fortemente ridimensionato. Il Prof. Mobilia oltre ad essere investito dal Sindaco di Lipari Mariano Bruno dell’incarico di consulente per la Sanità del Comune, riveste anche le cariche molto significative di Commissario del Sindacato U.G.L. in materia sanitaria per la Regione Sicilia, ed anche Presidente del Comitato Spontaneo di cittadini in difesa dell’Ospedale di Lipari.

“In questo momento, come vanno le cose a Lipari, Professore?”

“Vorrei dire, anzitutto, che nelle ultime settimane c’è stato un abbandono da parte dei 108 Sindaci della Provincia di Messina, in ben tre riunioni, indette dal Sindaco Buzzanca,  andate a vuoto. E in ben tre occasioni, mancando il numero legale, non si è potuto sviluppare il tema all’ordine del giorno. Nell’ultima riunione bastava che fossero presenti 39 Sindaci, invece erano presenti 17. Anche i Sindaci delle Eolie non sono apparsi a queste riunioni, e neanche i loro possibili sostituti. Questo è un fatto che mi ha enormemente dispiaciuto, perché ancora una volta si è persa l’occasione di mettere sul tappeto tutte quelle cose da fare per salvare la rete ospedaliera siciliana. Rete ospedaliera che si trova in una situazione di stand-by, visto che la Regione attraversa un momento di crisi istituzionale, e se non passa la finanziaria, approvata a maggioranza, rischiamo di andare a nuove elezioni. In questo momento, quindi, la sanità interessa meno rispetto alla finanziaria.

E’ calata l’attenzione sul problema sanità, e quindi sulle Isole Eolie. Isole Eolie che ai politici interessano poco, perché i voti che prendono lì sono pochi, per cui non hanno interesse a seguire la sanità nelle Eolie. Però l’isolamento, è tale che…. Anche oggi, gli aliscafi non sono passati. Lunedì uno di questi è andato a fuoco mentre navigava. Quindi questi poveri abitanti delle Isole non possono essere seguiti bene, e rischiano di non essere assistiti adeguatamente. E restano abbandonati in osservazione in attesa che l’elicottero o la nave intervenga. E’ una situazione insostenibile, siamo ridotti al lumicino. Ci sono pochi ausiliari, e pochissimi medici all’Ospedale di Lipari. Ad alcuni non gli hanno rinnovato l’incarico. Gli infermieri sono carenti, non c’è la possibilità di poter ospitare i non residenti negli alloggi locali, perché ormai si avvicina la stagione estiva. E chiunque ha un appartamento grande o piccolo che sia, preferisce affittarlo ad un prezzo molto alto ai turisti che vogliono godere il sole delle Eolie. Questo comporta lasciare i medici e paramedici senza casa. Questo fatto aggrava la drammaticità del problema di assicurare una buona assistenza nelle Eolie. Avevo proposto al Sindaco Mariano Bruno, come esperto consulente, di prendere un vecchio stabile abbandonato, e adibirlo ad alloggio per il personale medico e paramedico che più o meno saltuariamente lavora nelle isole Eolie. Se non si dà vitto e alloggio a queste persone che vengono da fuori, purtroppo, dal 1° Giugno gli abitanti del luogo inizieranno a non affittare più case a medici e paramedici”.

Pare, quindi, dalle sue parole, che l’aspetto politico prevalga sugli effettivi bisogni dell’ammalato in primis?”

“A parte la politica, c’è la situazione ambientale locale. Il problema di avere la residenza lì, senza casa, scoraggia sia i medici che i paramedici. Qui i politici c’entrano poco. In realtà è la volontà delle singole persone delle Eolie che avendo più stabili, preferiscono introitare denaro per l’anno che verrà. In inverno, ad esempio, guadagnano meno, e hanno bisogno delle riserve di euro che accumulano in estate. Certo il Sindaco potrebbe prendere l’iniziativa nel favorire la residenza a questo personale medico e paramedico”.

“Al momento l’Ospedale di Lipari come funziona?”

“In atto l’Ospedale di Lipari gode di pochi reparti. C’è il reparto di Medicina che ha il pienone, data la sua potenzialità e specialità. Qui soprattutto gli anziani trovano l’assistenza.  Il reparto non offre grande assistenza in casi di infarti, ictus  e per altre patologie acute. Offre assistenza più o meno completa per gli anziani. Questo dal punto di vista sociale è lodevole, ma certamente non si dovrebbe solo occupare di questa fascia d’età, ma si dovrebbe occupare di dare assistenza in casi di patologie acute. Poi c’è il Reparto di Chirurgia, dove da sempre, da circa quindici anni, manca la figura del primario. Il Reparto di Ostetricia ha solo due medici, mancando il primario, ma anche la TAC e la Risonanza Magnetica. Insomma è veramente penoso assistere a questi elicotteri che fanno i taxi dell’aria per aiutare  i poveri ammalati delle Eolie, non sempre in condizioni di sicurezza, viste le condizioni meteomarine. Quindi sono abbandonati. L’opinione pubblica, i mass media dovrebbero attenzionare anche le Eolie. Sette isole che hanno solo la speranza dell’elicottero e dell’ospedale”.

“A livello sindacale, come commissario dell’U.G.L., cosa state pensando di fare per ovviare a queste problematiche?”

“La prima cosa che ho proposto di fare, da tre mesi a questa parte, è quella di mandare a turnazione medici e paramedici per trenta giorni ciascuno, per offrire la propria opera, la propria esperienza nelle isole Eolie. Le normative contrattuali attuali prevedono che la mobilità d’urgenza fino a trenta giorni può essere attuata, nel mandare personale valido, almeno trenta giorni a turno ciascuno, per offrire buona assistenza nell’Ospedale di Lipari. Questo vale anche per gli infermieri, gli ausiliari che a turno possono sviluppare attività ospedaliera nel presidio di Lipari, in attesa di poter fare bandi specifici per le Eolie. Tanti medici e tanti paramedici abitano nelle isole Eolie, quindi potrebbero lavorare nell’ospedale”.

“Il sistema sanitario siciliano, per concludere, a suo modo di vedere, possiede più pecche o più vantaggi?”


“Diciamo che non si fa altro che parlare dell’Ospedale Piemonte che perde uno, due reparti. Si parla di Barcellona se deve avere due o tre reparti di Chirurgia; si parla di Milazzo se deve avere tutto o il meno di tutto. Alla fine si dimentica di parlare di Mistretta e di Lipari che sono geograficamente, territorialmente condannati all’isolamento. Invece di occuparsi i mass media, i politici, di altre realtà, per umanità, per professionalità, per rispetto della salute umana, dovrebbero occuparsi anche degli ospedali di Mistretta e di Lipari. Anche se portano pochi voti ai politici, la salute non è paragonabile al voto”.

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Venerdì, 10 Maggio 2013 16:07

La città non è solo mura e pietre

 

“Mi sono trasferito a Messina nel 1960 ed ho avuto subito una bellissima impressione: l’Università, gli ospedali, le fabbriche (Birra Messina, Rodriquez, Cantieri Navale), Marina Militare, Il Distretto Militare, ecc… .

Sono ripartito nel 1965 per ritornarci definitivamente nel 1977, per motivi di lavoro e per ricominciare a conoscerla meglio.

Diceva sant’Agostino: “La città non è solo mura e pietre”, e Sofocle, 2500 anni fa “la città è gente”.

Il primo aspetto cui farei riferimento riguarda i cittadini la vera anima del luogo e tanti non hanno alcun amore per questa città, bellissima.

Messina non ha una compattezza, rintracciabile ad esempio ad un movimento. Non ha uno spirito solidaristico, tutto si sta perdendo e l’anima si deteriora in una quasi sorta d’involuzione, di disarmo delle coscienze.”

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Venerdì, 10 Maggio 2013 16:05

Disintegrazione etnica

 

- di Rosario Fodale -

 

Da trapanese non residente mi sono posto un problema che sicuramente è stato affrontato in precedenza da tanti abitanti di Trapani, ( trapanesi per nascita e per vocazione) di Rometta, Spadafora, Limina ecc. che hanno capito quale situazione si è determinata nel tempo, nelle loro città che per tantissimi secoli ha dato alla luce i propri figli nel proprio territorio costituendo quell’elemento essenziale tipico di una comunità cittadina.

Mi accorgo, verificando lo stato attuale, che stanno venendo meno quelle condizioni naturali che hanno fatto di queste città – nella storia - una sintesi di luogo di aggregazione con la sua comunità, lasciando ai Comuni di Erice, Messina, Milazzo, Taormina, ecc di evolversi in autonomia nel proprio territorio e con i propri figli.

E’ proprio nella natura degli uomini avere come ascendenza naturale una genitrice dalla quale i figli vengono alla luce per poi sentirsi grati e orgogliosi di quel connubio. E nella realtà è proprio così: i cittadini si sentono figli della propria città, del proprio paese, del proprio borgo, della propria frazione, non già come fatto estraneo alla propria natura, ma come rapporto diretto con il luogo di nascita.

In queste città come Trapani, Rometta, Spadafora ecc , ricche di storia, di tradizioni, di cultura è forse possibile ritenere che è superabile una suddetta situazione; e cioè che i propri cittadini debbano sentirsi privati di una naturale rapporto che si configura come uno status vero e proprio, la cittadinanza.

Poiché la situazione di Trapani e di tante città è un po’ atipica in quanto le nascite verificandosi nelle strutture ospedaliere influenzano l’appartenenza anagrafica al comune dove è avvenuto l’evento venendosi a ridurre così l’appartenenza di origine reale; ciò cosa comporta che le nascite avvengono nella vicina Erice sia per i suoi abitanti che per quelli di Trapani, e di Rometta, Spadafora , Limina a Messina.

La conseguenza è ovvia vengono alla luce solo cittadini di comuni diversi. Così perdurando la situazione , nel tempo si arriverà ad avere in questi centri dove non c’è ospedale cittadini nati altrove. Non interpelliamo i nostri avi perché sicuramente avrebbero modo di ridere sul paradosso.

Chi avrebbe immaginato non molto tempo fa una così strana prospettiva? Poiché sembra che la soluzione ad un siffatto problema non abbia amatori, sia cittadini comuni, che uomini di cultura o addirittura politici mi chiedo cosa non si debba continuare a non fare per eliminare questi cittadini.

Il giudizio spetta a chi ha cuore quanto mi permetto di fare presente, sia pure con le dovute mie considerazioni. Gradirei che un po’ tutti si sentissero sensibilizzati di fronte ad un problema così importante per trovare la giusta soluzione, con le iniziative che si terrà opportuno prendere, in particolare da parte della persone preposte alla gestione della cosa pubblica. Grato verso tutti, ma anche verso chi ha già intrapreso iniziative che vorrà pubblicizzarle.

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Venerdì, 10 Maggio 2013 16:03

La politica e il conflitto sociale

 

 - di Alfonso Fede -

 

La politica è una cosa seria, da essa nascono i governi dei popoli; nascono le democrazie ma anche le dittature, queste ultime ipotesi avvengono quando la scollatura tra la politica e la società reale oltrepassa il limite dettato dal buonsenso.

La globalizzazione, la tendenza di un liberismo sempre più sfrenato, lo scollamento da parte dello Stato, o il tentativo di volere ammantellare quelle che sono i principi fondamentali di conquiste sociali, che nel passato, generazioni hanno combattuto e alle volte fino alle estreme conseguenze, sono il bandolo di quello che oggi si definisce il ritorno al conflitto sociale.

Certo i tempi cambiano, la storia cammina , e questa è la realtà che, naturalmente, non può essere nascosta.

Ma una società che si evolve deve tenere conto di quelli che sono i grandi valori, per la quale quella stessa società è nata e che le sue fondamenta sono basati su principi che non possono essere in alcun modo messi in discussione.

Ne và la stessa sopravvivenza di quella stessa società. Ma il mondo politico globale, ed in particolare quello Italiano, pare non abbia capito i rischi che corre quando si vuole, ad ogni costo, imporre alla stragrande maggioranza dei popoli quelle scelte di natura “libertarie” dove tutto viene gestito dal capitale, in mano sempre a “pochi esemplari” della grande finanza, dove la rincorsa del “mercato” diventa sempre più frenetica, in quanto rassomiglia alla legge della giungla e non si può essere sbranati dagli animali più feroci.

Di conseguenza, cosa succede? Il mondo capitalistico pur nel suo conflitto selvaggio, riesce sempre, ad accumulare altro capitale; mentre il mondo del lavoro viene sempre più compresso, limitandolo anche in quello che sono i diritti fondamentali, diritti, come dicevo prima conquistati con grandi sacrifici di lotte.

E allora, ecco la ribellione che viene in diversi modi: da quelle sulle piazze a quelle prettamente politiche. Questa è la risultante di quando le scelte che dovrebbero essere politiche come unico disegno per governare, si imboccano altre strade; cioè, rincorrere ad ogni costo, quello che si chiama “potere economico, per poi diventare prigionieri di esso. A questo punto la politica perde il proprio ruolo preminente, e qualunque società crolla. Quali sono le conseguenze? La frattura totale fra il potere politico e la società reale, che, se da una parte agisce con grande proteste palesi, da un’altra parte, mugugna e agisce subdolo la mente e con pericolosità.

Ecco come crollano le democrazie; ecco come nascono le dittature; ecco come nasce il terrorismo; ecco si spezzano i confini tra i popoli e avvengono le rivoluzioni.

La dignità dell’uomo non può essere messa in discussione nel nome di quelli che sono chiamati “grandi interessi globali” ( fra l’altro gestiti da pochi) ma l’uomo stesso in quanto società, deve essere l’artefice del proprio destino e nessuno può arrogarsi il diritto di cambiarlo. La ricchezza è un bene di tutti; ed a tutti deve essere ridistribuita con equità in quanto viene dal lavoro che ogni società produce. Ma, purtroppo, a mio avviso, le cose non vanno affatto , in questa direzione, e di conseguenza, tutto diventa più complicato, con l’aggravante che nella società Italiana, e non solo, il solco con le istituzioni diventa sempre più profondo.

Come evitare che un giorno o l’altro, malauguratamente possa verificarsi l’irreparabile? Semplice, fare ragionare la politica mettendola responsabilmente al servizio dei popoli, e con i popoli insieme fare quelle scelte di progresso, che devono guardare e tutelare tutti gli strati sociali, per avere, o , per lo meno , tentare di avere un modo di vivere più consono alla dignità dell’uomo senza soprafazione alcuna. Altrimenti, le nuove generazioni daranno una spallata violenta a tutto il sistema con conseguenze che nessuno potrà immaginare.

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