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La politica e il conflitto sociale

 

 - di Alfonso Fede -

 

La politica è una cosa seria, da essa nascono i governi dei popoli; nascono le democrazie ma anche le dittature, queste ultime ipotesi avvengono quando la scollatura tra la politica e la società reale oltrepassa il limite dettato dal buonsenso.

La globalizzazione, la tendenza di un liberismo sempre più sfrenato, lo scollamento da parte dello Stato, o il tentativo di volere ammantellare quelle che sono i principi fondamentali di conquiste sociali, che nel passato, generazioni hanno combattuto e alle volte fino alle estreme conseguenze, sono il bandolo di quello che oggi si definisce il ritorno al conflitto sociale.

Certo i tempi cambiano, la storia cammina , e questa è la realtà che, naturalmente, non può essere nascosta.

Ma una società che si evolve deve tenere conto di quelli che sono i grandi valori, per la quale quella stessa società è nata e che le sue fondamenta sono basati su principi che non possono essere in alcun modo messi in discussione.

Ne và la stessa sopravvivenza di quella stessa società. Ma il mondo politico globale, ed in particolare quello Italiano, pare non abbia capito i rischi che corre quando si vuole, ad ogni costo, imporre alla stragrande maggioranza dei popoli quelle scelte di natura “libertarie” dove tutto viene gestito dal capitale, in mano sempre a “pochi esemplari” della grande finanza, dove la rincorsa del “mercato” diventa sempre più frenetica, in quanto rassomiglia alla legge della giungla e non si può essere sbranati dagli animali più feroci.

Di conseguenza, cosa succede? Il mondo capitalistico pur nel suo conflitto selvaggio, riesce sempre, ad accumulare altro capitale; mentre il mondo del lavoro viene sempre più compresso, limitandolo anche in quello che sono i diritti fondamentali, diritti, come dicevo prima conquistati con grandi sacrifici di lotte.

E allora, ecco la ribellione che viene in diversi modi: da quelle sulle piazze a quelle prettamente politiche. Questa è la risultante di quando le scelte che dovrebbero essere politiche come unico disegno per governare, si imboccano altre strade; cioè, rincorrere ad ogni costo, quello che si chiama “potere economico, per poi diventare prigionieri di esso. A questo punto la politica perde il proprio ruolo preminente, e qualunque società crolla. Quali sono le conseguenze? La frattura totale fra il potere politico e la società reale, che, se da una parte agisce con grande proteste palesi, da un’altra parte, mugugna e agisce subdolo la mente e con pericolosità.

Ecco come crollano le democrazie; ecco come nascono le dittature; ecco come nasce il terrorismo; ecco si spezzano i confini tra i popoli e avvengono le rivoluzioni.

La dignità dell’uomo non può essere messa in discussione nel nome di quelli che sono chiamati “grandi interessi globali” ( fra l’altro gestiti da pochi) ma l’uomo stesso in quanto società, deve essere l’artefice del proprio destino e nessuno può arrogarsi il diritto di cambiarlo. La ricchezza è un bene di tutti; ed a tutti deve essere ridistribuita con equità in quanto viene dal lavoro che ogni società produce. Ma, purtroppo, a mio avviso, le cose non vanno affatto , in questa direzione, e di conseguenza, tutto diventa più complicato, con l’aggravante che nella società Italiana, e non solo, il solco con le istituzioni diventa sempre più profondo.

Come evitare che un giorno o l’altro, malauguratamente possa verificarsi l’irreparabile? Semplice, fare ragionare la politica mettendola responsabilmente al servizio dei popoli, e con i popoli insieme fare quelle scelte di progresso, che devono guardare e tutelare tutti gli strati sociali, per avere, o , per lo meno , tentare di avere un modo di vivere più consono alla dignità dell’uomo senza soprafazione alcuna. Altrimenti, le nuove generazioni daranno una spallata violenta a tutto il sistema con conseguenze che nessuno potrà immaginare.

Ultima modifica il Sabato, 08 Ottobre 2016 14:59
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