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Articoli filtrati per data: Mercoledì, 15 Maggio 2013
Mercoledì, 15 Maggio 2013 20:01

Le condizioni di sviluppo della Sicilia

Riceviamo e pubblichiamo

 

Chi ha veramente a cuore lo sviluppo del tessuto imprenditoriale in Sicilia e rappresenta soluzioni concrete per garantirlo?

Ci troviamo in una fase davvero critica per la nostra Terra e non vediamo scelte politico-istituzionali che aiutino concretamente le imprese a scommettere ed investire in Sicilia.

La politica, gli organismi di rappresentanza datoriale e sindacale, le banche, i burocrati e quanti altri hanno in mano le leve del potere non stanno dando segnali precisi di accelerazione e semplificazione delle politiche di sviluppo.

A causa di ciò, le imprese muoiono di burocrazia e di mancato accesso al credito, annaspano dietro leggi obsolete o inique  e vi è la necessità di dare una svolta precisa in alcune direzioni chiave.

 

Senza lavoro e senza sviluppo produttivo non c’è futuro:

oggi il problema delle imprese che ancora credono ad un futuro è la malaburocrazia e, in conseguenza di ciò, il difficile accesso al credito. Capiamo che è complicato credere “a priori” nella bontà di un’impresa, ma non si può pensare che l’impresa debba attendere tempi indefiniti per far partire un progetto di sviluppo o accumulare crediti senza certezza di tempi di pagamento. Occorre allora una scelta di campo, occorre che il Governo decida di credere nel tessuto imprenditoriale, metta in campo strumenti seri sul fronte dell’accelerazione delle procedure (“con tutti i controlli a posteriori necessari”), dell’aiuto allo start up giovanile, del credito d’imposta, dei tempi di pagamento certi. Non servirà allora aiutare le imprese nell’accesso al credito, perché saranno forti nella contrattazione con le banche delle certezze di cui sopra. Inoltre, credere nell’impresa genera lavoro e propone un modello meritocratico di sviluppo e mai più assistenziale. Anche nel settore formativo occorre puntare prioritariamente sulla capacità delle imprese di fare formazione continua, sbloccando i fondi in questa direzione - legge 236/93.

 

La povertà:

mentre si ricostruisce un tessuto produttivo, occorre arginare la povertà dilagante e la Regione ha bisogno di puntare sul Welfare solidaristico che funziona, che è capace di costruire reti di protezione sociale, che anima processi di inclusione socio-lavorativa. In Sicilia c’è una concreta e cospicua presenza di reti di welfare che va sostenuta per progetti mirati e concreti (“senza dare soldi a pioggia, dato che poi la pioggia con il sole si asciuga e scompare”). La sperimentazione di progetti di rete sulla povertà, che ha messo in campo esperienze ecclesiali e laiche, così come la positiva esperienza del microcredito, sono modelli da perseguire ed implementare.

 

Le politiche socio-sanitarie:

da anni ci battiamo perché in Sicilia si riconosca il valore della persona, portatrice di bisogni e titolare di diritti esigibili. Il Sistema sociale e sanitario attuale lascia moltissime persone prive di servizi ed incapaci di tutela. Manca per le persone e le famiglie fragili la concreta possibilità di ottenere una risposta certa ad una domanda di tutele. Alla Commissione Bilancio dell’ARS ho presentato - in qualità di Garante - un articolo per la costituzione di un fondo per la disabilità, un concetto molto articolato per dare certezza dell’esigibilità dei diritti.

Non sappiamo ancora quanto si potrà resistere e non certo perché le imprese siciliane non sanno stare sul mercato, bensì perché si vuole mantenere un’idea di Terra del sottosviluppo, dell’illegalità, del collateralismo, così da poter continuare a fare finta di porgere la mano in segno di aiuto e sorprendersi perché aumentano i fenomeni di povertà, di microcriminalità, di usura, di suicidio.

La crisi delle imprese mette in crisi le persone e non sappiamo fino a quando potrà amministrarsi una politica dello stipendio e non già del lavoro, mantenendo l’ampia platea di cittadini che ricevono lo stipendio precario dalla Regione, dai Comuni, dalle partecipate e municipalizzate, dalle aziende pubbliche, dagli Enti finanziati dalla Regione.

Non vogliamo farla lunga, ma se doveste decidere di pubblicare queste poche espressioni che facciamo nell’esclusivo bene della Sicilia e mentre vediamo spegnersi la speranza nelle persone (“il capitale umano è la leva più importante per la crescita di un popolo e di un territorio”), chiediamo segnali evidenti e non solo proclami.

 

Dino Barbarossa - Presidente della Fondazione ÈBBENE

Pubblicato in Comunicati stampa

La lingua più antica del mondo risale a 15 mila anni fa e, nella preistoria, contava almeno 23 parole ancora esistenti.
Dall'Europa all'Asia gli scienziati dell'University di Reading, in Inghilterra, hanno viaggiato nel tempo e nello spazio, fino a raggiungere il cuore di un ceppo linguistico comune che si perde nella notte dei millenni.
Inclusa quella indoeuropea, la lunga ricerca ha scandagliato sette famiglie linguistiche del Continente euroasiatico, risalendo a un nucleo di 23 radici comuni: a tutti gli effetti, l'Abc della proto-lingua che, in pieno paleolitico, regolava la comunicazione di base.
L'ABC DELLA PROTOLINGUA. Nel vocabolario degli antenati c'era innanzitutto la parola «madre». Ma anche «maschio», «io», «tu», «noi», «vecchio», «mano» e «non».
Verbi di azioni frequenti come «dare», «sentire», «tirare» e anche «sputare».
Infine i nomi di piante, animali, persino colori e rituali che scandivano lo scorrere della vita quotidiana. «Fuoco», per esempio, è un concetto ricorrente in tutte le famiglie linguistiche. Al pari di «frassino» (stessa radice di «cenere»), «corteccia», «buio» e «verme».
La proto-lingua scoperta dall'informatica
La mappa delle famiglie linguistiche del mondo.

La mappa delle famiglie linguistiche del mondo.

Le radici della proto-lingua sono state ottenute rintracciando le corrispondenze tra i 200 vocaboli più usati nelle sette famiglie linguistiche studiate. Un campione di migliaia di parole, incrociate nel grande database del programma Torre di Babele.
La scoperta di Mark Pagel - biologo evoluzionista a capo del laboratorio di processing informatico che ha generato la nuova superfamiglia linguistica, è significativa non solo perché ha accomunato gli idiomi indoeuropei (tra i quali le lingue romanze e germaniche) a quelli altaici (turco e mongolo), uralici (finlandese e ungherese) e di altre famiglie asiatiche prese in esame.
PRIME SCRITTE 5 MILA ANNI FA. Prima del team di Pagel, nessuna ricerca linguistica era mai riuscita a datare una lingua prima dei 10 mila anni di età.
Le prime tracce di scrittura dell'uomo risalgono invece a circa 5 mila anni fa. «Il latino viene indicato una lingua morta, invece è quasi l'ultimo nato», ha ironizzato lo scienziato inglese.
LA STATISTICA SUPERA LA STORIA. Per ricostruire l'evoluzione del linguaggio nei millenni, il gruppo di Reading non ha usato il metodo comparativo tipico dei glottologi, che prende fonti e documenti storici come cartina di tornasole per verificare le caratteristiche lessicali e grammaticali delle lingue estinte.
Ma, come per altre indagini passate, il laboratorio informatico ha adottato modelli statistici di estrazione dati, privilegiando i sistemi astratti alla ricerca sul campo.
La parole più usate appartengono a più famiglie
La protolingua comune a sette famiglie risale a 15 mila anni fa.

La protolingua comune a sette famiglie risale a 15 mila anni fa.

La convinzione che le leggi matematiche possano individuare - come anche in campo medico e biologico - la genesi e i percorsi delle lingue umane si basano sulla scoperta, nel 2007, che alcune leggi biologiche sull'evoluzione valgono anche nella linguistica.
Quanto più, per esempio, una parola è usata nel linguaggio comune, tanto più raramente è destinata a cambiare nel corso degli anni. Lo stesso avviene per i geni più forti, portatori di informazioni ereditarie più caratterizzanti. Non è un caso che i verbi di base, necessari per comunicare, siano anche quelli conservano le declinazioni più irregolari, di struttura simile alle lingue antiche.
LA FORZA DELLE PAROLE COMUNI. Prima di selezionare il campione da incrociare al computer, Pagel e colleghi erano arrivati a concludere che le parole pronunciate più di una volta ogni 1.000 parole (in media, circa 16 volte al giorno) mutano così lentamente, da poter essere rintracciate in almeno due famiglie linguistiche diverse.
Come i corpi vivi, le lingue cambiano e si adattano all'ambiente. Ma la loro radice resiste e, come una matrice primordiale, custodisce i concetti essenziali del pensiero. Questa semplice legge della vita è la chiave, sembra, per la Babele delle lingue e della storia.

 

(lettera43.it)

Pubblicato in Dal Mondo

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