Login to your account

Username *
Password *
Remember Me
Articoli filtrati per data: Giovedì, 09 Maggio 2013

Casalvecchio

 

(dal libro Argennum)

 Celebre è la «Sagra» dedicata alla festa della fraternità e della pace. L'iniziativa, che risale al 1760, spetta alle due confraternite di S. Teodoro e della SS. Annunziata in seguito alla composizione di una lite durata alcuni anni «innanzi al Tribunale della Gran Cone Archimandritale della Nobile e Fidelissima Città di Messina, riguardante la precedenza a loro spettante nelle processioni».

Il tradizionale rito si svolge, all'aperto. nella festività dei santi protettori delle due confraternite e vuole ricordare a tutti l'urgente bisogno di rapporti cordiali, umani e cristiani perla instaurazione di una migliore società.
Una delle date celebrative, la più attesa, cade il 25 mano, proprio quando nella incipiente stagione primaverile si solennizza il mistero dell'Annunciazione, foriero della pace tra Dio e gli uomini.

 Accanto alle confraternite sono tutti i Casalvetini ad offrire a quanti convengono dai paesi vicini e lontani il commovente spettacolo di tratti più umani e squisitamente cristiani che, in riferimento al 25 marzo, alla festa dell'Annunziata, trovano la loro origine nel mistero, appunto. del Verbo di Dio diventato nostro fratello nel purissimo seno di Maria Vergine.

 Nell'ora che precede la processione della settecentesca statua della Madonna riproducente la scena dell'Angelo nell'atto di salutare, inchinato, la pudica Verginella una rappresentanza dei confrati della SS.ma Annunziata, accompagnati dalla banda cittadina, si reca preso la chiesa di S. Teodoro martire per rilevare, coi dovuti onori, i soci di quest'altra venerabile confraternita e procedere insieme, gomito a gomito, verso il punto d'incontro per lo svolgimento del rito che culminerà nell'abbraccio di fraterna pace alla presenza di una folla giubilante.

Alla fase culminante, squilla la tromba dell'attenti: un grande silenzio intorno; ognuno vuol vedere, guardare attentamente per gustare di più quel godimento dello spirito. Tutti gli occhi sono rivolti alla grande, vivente scena nella quale gli attori principali diventano due confrati delle rispettive confraternite, che, incedendo, si vanno gioiosamente incontro, mentre nelle loro mani i gonfaloni garriscono al vento. La gioia che traspare da ogni volto non pubessere contenuta oltre, e scoppia all'improvviso un coro di applausi inneggianti alla pace e alla fraternità. L'esultanza del popolo diventa incontenibile man mano che i due gonfalonieri. agitando lo stendardo in affettuoso segno di saluto, si avvicinano fino all'abbraccio finale. Una vera ovazione corona il solenne rito, mentre l'oratore, dall'alto di un pergamo improvvisato nella piazza rigurgitante di fedeli, esorta tutti alla fratellanza in Cristo.

Intanto la processione dell'antica e artistica statua della SS.ma Annunziata, preceduta dal clero e dalle varie Associazioni parrocchiali, va lentamente formandosi. Lo sguardo dei fedeli è rivolto all'ingresso della Chiesa, dove, luminosa e soave, appare la figura della umile Verginella salutata dall'Arcangelo Gabriele. I ricchi e molti doni, deposti dai fedeli ai piedi della settecentesca statua della Madonna, sono viva espressione di pietà. Tra inni e canti, la bella statua, procedendo lentamente, percorre le vie del paese, mentre una folla devota s'inchina riverente al passaggio della Regina del cielo. della Madre di Dio e degli uomini.

Pubblicato in Feste popolari
Giovedì, 09 Maggio 2013 18:23

Novara di Sicilia : l'Assunta e la sua festa

 

- di Giovanni Cammareri - 

 ….ch’era la festa di tutti santi del paese e che quest’anno, nel rispetto di una “rinnovata” tradizione, torneranno in processione per un festino che si spera…speciale.

 Centoquarantasei, centoquarantotto, centocinquanta. Nessuna tradizione ne ha mai stabilito un numero preciso. Ma a Novara di Sicilia crescono di anno in anno, le candele che circondano il magnifico simulacro dell’Assunta.

E’ lei, l’incontrastata regina dei Nebrodi che nella sera del 15 agosto di ogni anno riempie le stradine spesso in forte pendenza di uno dei borghi più belli d’Italia.

 Le candele vengono disposte a scalare lungo il perimetro della vara. Di più sul davanti dove si viene così a creare una sorta di piramide tronca.

E in mezzo c’è lei, l’Assunta, che incede a forza di Eviva!… Eviva!...

 Fino a ben oltre la mezzanotte.

Una voce grida, la osanna continuamente: “come regina assunta in cielo…” “come stella del mattino…”, “come regina di Novara…” (ovviamente). E a ogni invocazione un Eviva!, con quella tipica fonetica novarese che sembra davvero togliere una v a quella risposta.

Mentre il fercolo va avanti e indietro nella sua tipica andatura ondeggiante al suon di musica.

 Tre passi avanti e due indietro. Non ha un nome preciso questa danza. Tre passi avanti e due indietro e va bene così. Un dondolio gioioso che nella sua splendida dinamicità diventa ancora più lento nell’ultimissimo tratto del percorso processionale. Dalla ripartenza da piazza Bertolami fino al Duomo. E la gente a camminare all’indietro, davanti al fercolo, per non perdere nulla di quello sfolgorio di luci e devozione. In una Novara di Sicilia che vive la sua notte più bella del giorno più atteso. Mentre lo scintillio proveniente dalla macchina processionale, Vergine compresa, sembra riempire ogni spazio. Si muove eppure non cammina.

Tutto ha inizio poco prima delle nove serali.

 el Duomo dell’accattivante cittadina si alza l’Ave Maria Stella. Dolce e austero canto, grave e soave. I portatori stanno genuflessi davanti al fercolo poco prima che tre colpi di martello comandino il sollevamento. E’ a quel punto che iniziano gli “eviva” incessanti che già rimbombano nel tempio stracolmo.

Quindi la discesa dei ripidi scalini verso il popolo di Novara e la gente venuta da fuori che attende nella piazzetta antistante la chiesa, lungo le prime strade e nei vicoli che saranno attraversati dalla processione, incantevoli scorci d’altri tempi di una sera quasi Andalusa.

 Eppure, tutto aveva avuto inizio veramente la mattina dell’ultima domenica di luglio, quando durante “a scinnuda” il simulacro della Madonna – statua scolpita dal napoletano Filippo Colicci nel 1764 – lascia il suo altare per essere posto sulla vara.

 Poi, il 31 di luglio, vi sarà a “purtada da Madonna o’ sò logu”  il trasferimento cioè infondo la navata centrale della chiesa per la quindicina, “a chinnicea”.

E’ il prologo di un “festino”, che in provincia veniva considerato secondo dopo quello di Messina e che aveva rinomanza in buona parte della Sicilia.

Un tempo, fino all’immediato Dopoguerra, al tramonto del 14 agosto venivano processionalmente condotti al duomo, i santi. Provenienti dalle varie chiese del paese avrebbero preceduto l’Assunta nella processione del giorno dopo quando all’abbazia di S. Ugo, patrono secondario di Novara, pure le reliquie dell’abate discepolo di san Bernardo di Chiaravalle venivano aggregate alla sacra carovana festante.

 I quindici fercoli, di cui uno reliquiario, facevano infine da contorno all’Assunta in piazza Bertolami, dove fra maschiate e canti aveva e ha ancora luogo la cosiddetta “Apoteosi”. Poco prima del rientro. Prima che la banda riattacchi con le sue marce allegre e l’incedere diventi ancora più lento. Nella sua grande dinamicità forse apparentemente accentuata dai monili, dall’ aureola della Vergine, dai preziosi ex voti (collane, anelli, bracciali) che le pendono attaccati ai polsi a testimonianza della grande fede dei novaresi espressa nei confronti della loro protettrice e patrona; fra campane spiegate ed evviva. Anzi, “eviva”. Gli eviva dei circa trenta portatori che sotto i brazzoli continuano ad andare avanti e indietro. Tre passi avanti e due indietro. La solita danza devozionale senza un nome preciso.

 Nel 1951, a conclusione dell’Anno Santo del 1950, il festino venne autorizzato nel solito iter rituale ancora vivo nel cuore e nell’anima dei novaresi.

Ma i ricordi erano destinati ad affievolirsi e l’anima ad essere spogliata della memoria.

La successiva uscita dei santi avvenne infatti nel 2000, anno giubilare. Qualcosa però risultò cambiata. Inevitabilmente. Ma era trascorso praticamente mezzo secolo.

 I simulacri dei santi non arrivarono trionfalmente al duomo la sera del 14, ma vennero là condotti privatamente. E durante la processione del 15 precedettero sì l’uscita dell’Assunta ma senza proseguire nell’intero percorso processionale. Andarono direttamente in piazza Bertolami ad aspettarla e farle da contorno per la solita… “Apoteosi”. Cinque anni dopo fu la stessa cosa.

 S’era stabilita comunque una scadenza. Una bella scadenza quinquennale giunta proprio quest’anno al terzo appuntamento di una storia pronta a riproporre il prezioso frammento di un festino che speciale lo doveva essere davvero. Quando la mattina del 14 agosto, dai gradini della chiesa di S. Sebastiano – sì, esattamente quella che hanno abbattuto – “l’orbu ‘i Menzagustu” col suo violino l’annunciava.

Pubblicato in Feste popolari

San Marco

(dal libro: Primo passava San Giuseppe... edito dalla PS Advert Edizioni)

 Dopo la messa delle 11, tutto muta improvvisamente su quel colle ameno da dove lo sguardo può liberamente spaziare lungo le verdi valli dei Nebrodi fino alla costa e al mare. Cambiano per prime le note della banda che fin dal mattino aveva allietato il fresco e soleggiato paese in odor di primavera, rendendo leggeri il cuore e l'anima di ognuno.

In un tratto della via Aluntina, nei pressi della chiesa dell'Aracoeli, le bancarelle propongono le solite mercanzie dei giorni sacri, i consueti odori mischiati alle marcette eseguite dal gruppo bandistico locale. Riconosco The King, una musica dai tratti armonici circensi parecchio ascoltata nella Sicilia sud-orientale; mentre la gente, vestita a festa, sale e scende dall'alto sagrato, viene dal tempio e'vi ritorna oppure si accalca o passeggia lungo la via il cui nome mi piace credere possa significare: via di Alunzio degli Unti. In effetti non è così. Aluntium fu il nome dato dai romani a questo luogo. Gli Unti furono una setta fiorita a Cefalù e ad Alunzio avente finanche il privilegio di amministrare la giustizia. 

Per ragioni ritenute sovversive venne sciolta nel XVIII secolo. L'oscuro sodalizio, lugubre come il nome degli associati, pare avesse tramandato fino ai nostri giorni, l'abito azzurro cenere dei babaluti, i trentatre penitenti dediti al trasporto processionale d'u Crucifìssuzzu  ri cieli, così chiamato dagli aluntini poiché il Suo viso venne scolpito da una leggiadra mano calata dal cielo.

Molto meglio sognare, molto meglio, piuttosto di dar peso al nome di Simone Li Volsi, scultore di Tusa, che lo scolpi veramente nel 1652. A quel tempo c'erano già i babaluti.
Un equivoco grossolano ha talvolta trovato spazio attorno l'affascinante figura dei babaluti e su questa singolare festa quaresimale, da indurre a definirla 'a festa 'i babaluti. Oppure nell'identificazione del Cristo come u Signuri 'i babaluti.

"Ma quale Signuri 'i babaluti, ma quale festa 'i babaluti; la festa è del Santissimo Crocifisso", afferma senza il minimo dubbio Nino Notaro, pittoresca persona colta del luogo.
Ogni volta reagisce energicamente se sente parlare di simili dicerie. Effettivamente ha ragione.
Poi mi informa di una ripulitura effettuata nel 2002 a Catania sul Crucifissuzzi ti li cieli, che non è affatto un piccolo crocefisso come indurrebbe a pensare l'affettuoso vezzeggiativo. Chissà, forse piccolo potrebbe essere stato il precedente simulacro, considerato che la festa dovette avere svolgimento prima delle realizzazione dell'attuale scultura.
Il Meli infatti afferma testualmente: "... la processione del SS. Crocefisso non è tanto antica avendosi fondato nel 1612...";.

Nino Notaro continua invece ad arringare contro quella grossolanità, ma pure sulla storia degli Unti e poi sulle numerose feste religiose aventi luogo in paese e ancora su quanto offre San Marco d'Alunzio (tutto, a suo dire) a chi voglia andarci in vacanza.
Per ulteriori informazioni, visto che peraltro è reperibile in un pic¬colo ufficio turistico, non occorre specificare alcun indirizzo, ci assicura, essendo sufficiente indicare: Nino Notaro, San Marco D'Alunzio. Qualsiasi missiva gli sarà recapitata.

La Confraternita dei Santi Quaranta Martiri invece, sotto il titolo dell'Immacolata, è l'unica sopravvissuta alle dieci prima esistenti ad Alunzio. La loro vita religiosa e sociale oscillava tra lapietà, l'assistenza, la beneficenza e le acerrime lotte per stabilire le precedenze nelle processioni. Niente di diverso rispetto altrove.
Composta dai Maestri artigiani del paese, i confrati dell'Immacolata, ridotti ormai a poco più di una dozzina, continuano a espletare l'assistenza nelle pratiche religiose inerenti al Santissimo. Perciò, verso le 11, giunge nella chiesa dell'Aracoeli visto che, nell'ambito delle celebrazioni in onore del Crocifisso, rimane ancora in uso l'espo-sizione' e l'adorazione.

Preceduti dallo stendardo, sfilano lungo la navata centrale. Pazienza celeste col medaglione d'argento con l'Immacolata al centro e lampioncino astile fra le mani: quando la messa cantata deve iniziare e 'u Cruciffcsuzzu è ancora nella propria cappella infondo la navata di destra.

I fedeli vi si avvicinano, almeno alle cancellate spalancate, per quanto è possibile in quel luogo straripante di folla e di fede, nella splendida austerità del momento impregnata di intensa, forte sacralità. Respiro un senso di antico, di trepidante devozione che solo i popoli dei centri montani sono ancora in grado di regalare. Ma respiro anche l'aria pervasa, carica d'incenso, sublimazione di una ancora più religiosa atmosfera. Il profumo dell'aroma bruciato, biblico dono dei Magi, fuoriesce fino al sagrato, dove la banda suona ancora l'allegrezza delle melodie mattutine, accompagnando l'ingresso in chiesa della Confraternita dei Santi Quaranta.
Più tardi processionerà davanti al Crocifisso, ma l'atmosfera sarà diversa.

La riposizione del Santissimo Sacramento segue un percorso, nel senso letterale e rituale, più lungo rispetto ai pochi metri che Lo separano dal tabernacolo.
Sotto un rosso baldacchino, preceduto dai mastri e seguito dalla banda musicale, compie un breve giro all'esterno. Il corteo compare dalla porta laterale, percorre un breve tratto della via Aluntina, sale sul sagrato rientrando in chiesa dalla porta principale. Ciò consente alla Confraternita dei Santi Quaranta di compiere il secondo lusin-ghiero ingresso nel tempio. Che per due giorni è il Pretorio: O meglio, nell'abside, dietro l'altare, viene innalzata una costruzione provvisoria per la larghezza della cappella assiale.

Interamente rivestita di rosso, con finte colonne gialle, si eleva dal pavimento fino alla cupola. Al centro dell'ordine più basso è predisposta una nicchia destinata ad accogliere il Crocifisso, nella parte alta un'altra incavatura contiene già una statua dell'Ecce Homo nascosta da una tendina. Infine, una miriade di candele collocate sulle cornici, fra la prima e la seconda elevazione, fino a raggiungere la sommità della struttura, completa l'effetto scenografico del singolare mausoleo che gli aluntini chiamano Pretorio.
Non meno singolare però, appaiono le celebrazioni stesse riservate al Crocifisso, 'u Crucifissuzzu ri li cieli, un sorprendente contrasto tra il festaiolo, i riti penitenziali e le sacre rappresentazioni.
La prima parte della mattinata parrebbe l'inizio di una ricorrenza patronale; tutto il resto sembra essere casualmente sfuggito dalle cerimonie della Settimana Santa alle quali però, la tradizione non intende mischiarsi. 

Nella maggior parte dei casi, l'ultimo venerdì di marzo significa semmai venerdì di Quaresima. Ma in certi anni può capitare che sia Venerdì Santo, o che addirittura sia persino passata Pasqua. In entrambe le circostanze i festeggiamenti o, se preferite, le celebrazioni, vengono anticipati al Venerdì dei Dolori'.
Comunque sia, insomma, sarà sempre un venerdì quaresimale a sancire l'inizio delle celebrazioni. La mattina del giorno dopo, infatti, il rito prosegue con una messa dedicata agli ammalati. Al termine, tolto il Cristo dalla nicchia del Pretorio, aggrappati alla Croce, materializzazione delle loro speranze, sono proprio gli ammalati a con-durlo in una toccante processione all'interno della Chiesa. Quindi la collocazione definitiva nell'abituale cappella dalle grandi cancellate di ferro conclude la festa.
Poco dopo mezzogiorno dell'ultimo venerdì di marzo, tutto cambia perciò.

Quannu nesci lu Diu ti Aracoeli, prima mi lassa l'anima e poi lu cuori, sciorinano i versi di una poesia al Dio di Aracoeli dedicata. Così scende sul sagrato una mestizia inattesa. Gli allegri ritmi del mattino cedono il posto a una triste Chopin, ai canti gravi del popolo che, sceso il Cristo dalla cappella, ora lo accompagna fuori varcando non solo la soglia, perfino il confine fra la gioia e il dolore. Allora piantano subito la Croce su una vara marrone, una semplicissima piattaforma di legno senza fiori né ceri, che da qualche ora attendeva sul sagrato.
Infine, per non farla oscillare, inseriscono dei cunei nelle fessure rimaste alla base della croce stessa'.

Frattanto, in tutta segretezza, nel rituale parallelo consumato da secoli, trentatrè fra uomini e donne mutano la loro condizione legata al presente per indossare l'abito del perdono, l'abito forse degli Unti, o forse, come afferma una donna del posto, l'azzurro cenere a rammentare proprio la cenere cui l'uomo dovrà tornare.
Sono uomini e anche donne, dicevo, pronti a mantenere la loro promessa, un voto qualsiasi. Qualcuno di essi lo farà per tutta la vita, e per tutta la vita, una volta l'anno, diverrà babaluto.
Ultimata la vestizione sbucheranno sulla via Aluntina e sarà un nuovo soffio di Medievale retaggio, quella visione di sacchi e cappucci azzurri da dove soltanto gli occhi si vedono appena. A due a due saliranno la scaletta di pietra della porta laterale da dove era uscito il Santissimo, baceranno per terra (l'ultimo compie pure un saltello), quindi, attraversata la chiesa, sbucano dall'ingresso principale per inginocchiarsi infine attorno la vara.

Frattanto al suono dell'inciso della celebre marcia funebre di Chopin, altri fedeli conducono sul sagrato il quadro della Vergine dei Sette Dolori per porlo ai piedi della Croce.
La so' matruzza cci stati a li peri: lavi siettifrriti a lu so' cuori, enfatizza la stessa poesia di prima.
La processione deve ancora avviarsi. Approfitto per soffermarmi breve¬mente su taluni aspetti ereditati dalle antiche rappresentazioni sacre. La costruzione che domina il presbiterio, prima descritta, ne è chiaro esempio, facendo parte integrante dei momenti religiosi interni che accrescono indubbia sacralità alle celebrazioni del SS. Crocifisso di Alunzio.
Conosciamo già l'iter rituale delle funzioni mattutine del venerdì: esposizione del Santissimo, arrivo della Confraternita, santa messa, breve processione del Santissimo.

Nel pomeriggio ha luogo la via Crucis, che di per sé non è una celebrazione strettamente liturgica, piuttosto una tradizione popolare sviluppatasi tra il XV e il XVIII secolo. Al termine, tolto il Crocifisso dalla vara, lo si pone nella nicchia predisposta nel Pretorio, il cui effetto scenografico trova massimo risalto e apprezzamento nel corso del sermone serale, nel momento in cui tutte le candele brillano in una sinfonia di luci tremolanti, e la tendina dell'Ecce Homo, in alto, sopra il Cristo in Croce, viene aperta alla stregua di un sipario.

Ma ritorniamo al mattino. Le letture e le omelie, eccezionalmente staccate dalla santa messa, vengono rinviate sul sagrato, quando la croce è ormai stata piantata sulla vara (che qui chiamano sepulcru), il quadro della Madonna ha superato la soglia dell'ingresso principale, e i babaluti stanno inginocchiati attorno al Dio di Aracoeli.
Si ferma la banda. Cessa anche il canto dei fedeli.
Il sacerdote sale su qualcosa accanto la colonna del portale; legge Giovanni e poi predica. Ricomincia il canto ad accompagnare il cammino della Madre alla volta del Figlio.
La Vergine dei Sette Dolori finalmente è sopra u sepulcru ai piedi della Croce. Vi sale anche il prete; legge Luca e predica ancora. Dopo è di nuovo Chopin.
I babaluti allora smettono la loro genuflessione ponendosi sotto le lunghe travi. Sedici avanti, sedici dietro. Uno a guidarli. Sollevati la Madre e il Figlio, accennano un mesto dondolio di dolore.
E incomincia un'interminabile supplica.

"Signuri Misericordia Pietà" chiedono sommessamente i sedici davanti a cui rispondono i sedici dietro. Ma pure le donne vicine al sepolcro e quelle che scalze lo seguono: "Signuri Misericordia Pietà". Ora è davvero tutto mutato su quel colle che era stato baciato dal sole. Come sempre, quando il fercolo intraprende la discesa dei gradini del sagrato, la nuvole velano il sole, nascondono l'azzurro del cielo siciliano, e in un momento la luce si fa discreta, soffusa, quasi a voler accompagnare come una consolatrice carezza il viatico appena iniziato.
"Signuri Misericordia Pietà"; uno dietro l'altro senza fermarsi mai, fra le meste note della banda che poco distante segue la vara, l'anomalo "sepolcro" degli aluntini.
U Signuri invocato dai babaluti non viene mai posato. Incede al passo dei portatori, due lunghe teorie di azzurro cenere interrotte dal fercolo stesso, suggestiva immagine d'altri tempi stagliata nelle tortuose vie del paese, avvolta nel lamento dei babaluti.

E un intero popolo dietro. Una fiumana che scende o s'inerpica lungo il percorso curvilineo dove a un certo punto avanzano le chiese. Una 'segue l'altra. Pietre medievali coi monasteri ormai vuoti accanto, e ampi sagrati spalancati innanzi.
Lì vicino sembra perfino acquistare più senso la supplica di quei penitenti.

`Signuri Misericordia Pietà"... una volta i portatori davanti, una volta quelli dietro. Così, fra l'incessante lamento e le marce sommesse, il mesto rito prosegue fino al rientro nella chiesa di Aracoeli. Dopo un'ora o poco più di intensa ritualità e poesia. Adagiato 'u sepulcru in mezzo la navata centrale, i babaluti si dileguano in pochi istanti. Ma non i fedeli. Ad uno ad uno, uomini e donne, vecchi e bambini, passano accanto i simulacri. Sfiorano la Vergine, baciano il Cristo; eppure baciano la Vergine e sfiorano il Cristo. O baciano tutti e due. Senza fretta, uno alla volta, tanto la festa continua.

 

 

 

Pubblicato in Feste popolari
Giovedì, 09 Maggio 2013 18:17

Acquedolci - La sfilata

Acquedolci

ll  "Carnevale ad Acquedolci" vanta una tradizione molto antica. In tale occasione si ~ organizzano svariate manifestazioni folcloristiche che coinvolgono tutta la cittadina.

E', però, nei giorni di domenica e martedì (ultimi di carnevale) che la festa esplode in tutta la sua bellezza con le sfilate dei carri allegorici: maestosi e coloratissimi carri sui quali abili ed esperti "artigiani" realizzano splendide composizioni artistiche in cartapesta, sfilano per le vie di Acquedolci contendendosi l'ambito trofeo di "miglior carro allegorico" e destando l'ammirazione delle migliaia di persone presenti, che sempre più numerose, ogni anno vengono attratte dall'imponente spettacolo.

Questa atmosfera gioiosa viene rallegrata, in maniera veramente piacevole, dalla musica e dalle danze i cui protagonisti diventano gli spettatori che respirano un clima armonioso, allegro, complice la cortesia ed il senso di ospitalità della gente di Acquedolci.

Pubblicato in Feste popolari
Giovedì, 09 Maggio 2013 18:16

Alcara Li Fusi - S. Nicolò Politi

 

Particolarmente significative sono i festeggiamenti per il Santo Patrono S. Nicolo Politi (nato il 06 settembre 1117 a Adrano) che gode di grande devozione da parte della popolazione Alcarese. Narra una pia tradizione che nei primi di dicembre del 1116 i coniugi Politi di nobile e antica famiglia, si portarono in Alcara per assistere alle feste grandiose che il 06 dicembre di ogni anno erano celebrate in onore di S. Nicolò Vescovo (S. Nicolò di Bari), ed il suo nome di battesimo Nicolò deriva da una grazia che la madre, che non poteva avere figli chiese durante la festa. Dopo nove mesi il palazzo Politi fu allietato dal sorriso di un vezzoso bambino.


La giovinezza del Santo fù caratterizzata da molti eventi, si distingueva principalmente per la sua purezza dei sentimenti, la carità per i poveri e i sofferenti, la pietà, la viva intelligenza e l’amore allo studio. All’età di 17 anni, i genitori di Nicolò pensarono che fosse arrivata l’ora di cercare una nobile e ricca fanciulla per combinare il matrimonio con il loro figlio, ma Nicolò la notte precedente il rito nuziale, per divino avviso lasciò la casa paterna e si rifugio in un antro alle falde dell’Etna iniziando cosi la sua vita da anacoreta.


Rintracciato dal Padre, avvertito da un messo celeste e con la guida dell’aquila reale, lasciò l’Etna e si diresse verso Alcara, prendendo dimora presso una piccola grotta ai piedi della Rocca Calanna.


Dalla sua povera dimora Nicolò per trent‘anni si recò tutti i Sabati al Monastero del Rogato per la S. Messa, la confessione e la comunione.
Nella sua grotta Nicolò viveva in preghiera, meditazione e penitenza, cibandosi di erbe e del pane che ogni giorno l’aquila prodigiosa gli portava.
Il 14 agosto 1167 Nicolò, per celeste avviso, apprese che dopo tre giorni sarebbe morto e la mattina successiva festa dell’Assunta, si recò al Rogato ove confidò con gioia all’Abate P. Cusmano il quale era il suo Padre Spirituale, che il giorno 17 avrebbe reso l’anima a Dio. Il 17 Agosto 1167, giovedi, l’Anima Santa e pura si distacca dalla spoglia mortale e vola in cielo.


Da allora a tutt’oggi il popolo di Alcara festeggia il 17 Agosto, il ricordo del suo glorioso transito al cielo, il 18 Agosto il ritrovamento del suo corpo esanime da parte della popolazione e il 3 maggio in ricordo di uno dei molteplici miracoli operati dal Santo.

Pubblicato in Feste popolari
Giovedì, 09 Maggio 2013 18:14

Alcara Li Fusi - Muzzuni

 

Per risalire alle origini della festa del “MUZZUNI”, che ogni anno si svolge ad Alcara Li Fusi il giorno del solstizio d’estate, il 24 giugno, è necessario tornare indietro nel tempo, al periodo in cui, alcuni troiani sfuggiti alla distruzione ed alla rovina della loro madre patria, la città di Troia, trovarono rifugio dove sorge attualmente il Paese di Alcara.
Nello stesso giorno due feste per la comunità degli Alcaresi.
La chiesa, di giorno, celebra la festa di S. Giovanni Battista, dal collo mozzo. Finita la festa di S. Giovanni, la gente rientra in casa, ed ecco che le donne si accingano a preparare il quartiere, per la festa del MUZZUNI.


In quasi tutti i quartieri si incomincia a vestire il luogo dove dovrà essere sistemato il MUZZUNI, con “pezzare” tessute al telaio di legno, con vasi di grano germogliati al buio, (per prendere il colore dell’oro). Le ragazze prendono il posto della “Sacerdotesse”, davanti al MUZZUNI.


La brocca è col collo mozzo, rivestito con un fazzoletto di seta, dal collo della brocca spuntano steli di grano, un rito magico propiziatorio per le primizie della terra che erano offerte alla Dea Demetra, per ringraziarla del buon raccolto, i riti si collegavano alla fatica dell’uomo per dominare le forze della natura.


Da questo momento il MUZZUNI si erge come simbolo fantastico, come fallico trofeo della Dea Demetra, “fonte di ricchezza e Fecondità” come trionfo della vegetazione della vita, divinità agreste, che accentra la devozione dei contadini che con l’offerta dei “Lavuri” rappresentati nei giardini di Adone, simbolo delle aspettative contadine per un nuovo raccolto che si voleva abbondare.

Una delle caratteristiche più importante di questa festa e quella del comparatico, la quale consiste nella promessa di amicizia fraterna fra due persone attraverso, lo scambio di confetti, l’intreccio dei mignoli ed una breve proposta seguita da una filastrocca.

Pubblicato in Feste popolari
Giovedì, 09 Maggio 2013 18:12

Antillo: - Sagra della castagna

 

 

La "Sagra della castagna" ad Antillo, nasce nel 1999 con l'intento di far riscoprire un prodotto profondamente radicato nel passato della nostra comunità, attraverso una iniziativa che oltre a permettere la degustazione delle castagne, vuole conservare usanze, gesti e profumi che il tempo lentamente sta portando via dalla nostra memoria. Storicamente per la nostra comunità, la castagna ha avuto un'importanza elevatissima come fonte primaria di cibo per esseri umani, bestiame e animali selvatici.


 La castagna è un alimento molto nutriente e ricco, contiene 200 calorie ogni 100 grammi, calorie che arrivano a 370 per il prodotto secco. Inoltre la castagna è ricca di aminoacidi, vitamine (B1, 132, C, PP1) e minerali (potassio, fosforo, zolfo, sodio, magnesio, calcio, cloro).


Una intera catena alimentare era basata sulla produzione annuale di castagne, infatti, per le famiglie dei nostri nonni, nelle annate di scarsa produzione lo spettro della fame nei mesi invernali era sempre presente. In questo periodo dell'anno, per loro una dura giornata di lavoro iniziava con pochi gesti semplici ma importantissimi: ci si alzava prima dell'alba, si accendeva il fuoco, si preparava "u caliaturi" e con esso si arrostivano le castagne.

Durante la cottura tutta la famiglia si radunava vicino al fuoco ed appena pronte, le stesse venivano sbucciate e consumate al momento, con i più giovani che facevano a gara a chi riusciva a sbucciarle più velocemente e nello stesso tempo si cercava di rubare al vicino qualche castagna già pulita. I più piccoli invece, se non erano ancora in grado di alimentarsi autonomamente, ricevevano dalla mamma la loro parte di castagne gia parzialmente masticata "u masticuni". Alla fine della frugale colazione si partiva per il lavoro nei campi ed una parte delle castagne già sbucciate, "i palummeddi", venivano conservate in tasca per essere consumate, molto spesso come unico alimento, durante il resto della giornata.


Questo rituale veniva ripetuto per tutti i mesi invernali, pertanto ci si ingegnava anche sul come conservare le castagne il più a lungo possibile. Molti erano i metodi usati per tale scopo, c'era chi le metteva in una giara con acqua, chi le conservava sotto la sabbia di torrente, chi in una buca scavata sotto una pianta di castagno per poi ricoprirle con foglie e rametti della stessa pianta. Ogni metodo dava i suoi frutti; in ultima ipotesi le castagne che andavano a male venivano date agli animali domestici, pertanto nulla veniva sprecato.


Oggi storie simili sembrano lontane nel tempo, ma restano ben presenti nella memoria dei nostri anziani.
II destino della castagna sembra strettamente legato allo sviluppo della nostra comunità, infatti la sua coltivazione era intensa quando anche il nostro paese era molto popolato, per registrare poi negli ultimi decenni un notevole calo di produzione, di pari passo con lo spopolamento demografico dei paesi collinari. Negli ultimi anni però si sta registrando una importante inversione di tendenza: grazie alla voglia che il consumatore ha di riscoprire prodotti e sapori genuini, la richiesta di castagne sul mercato è notevolmente aumentata a partire dalle regioni del settentrione d'Italia.
E se il castagno cresce.... cresceranno anche i paesi della collina?


Per questo, far conoscere il prodotto "castagna" è di Giovanni Palella (Vice Sindaco) importante, come per noi è necessario far conoscere tutte le genuinità che Antillo può offrire, e la Sagra è uno strumento che può servire a tale scopo.


A tal proposito, l'Amministrazione Comunale seguendo un percorso nuovo che passa attraverso la valorizzazione delle nostre tradizioni, del nostro patrimonio paesaggistico, culturale e gastronomico, vuole avviare un processo di rilancio e di valorizzazione economica di quelle che sono le nostre unicità. Quest'anno, per la quinta edizione della Sagra della castagna, abbiamo voluto, facendo diventare il cittadino stesso protagonista, far capire quale grande potenziale di sviluppo ha l'offerta dei nostri prodotti quando si incontra con la sempre maggiore voglia di genuinità.


La sera del 25 ottobre protagonista non è stata solo la castagna, assieme ai tanti altri prodotti, ma indubbiamente i protagonisti in assoluto sono stati Antillo ed i suoi cittadini. Antillo perché si è offerto come suggestivo centro della parte più profonda della vallata dell'Agrò, un'esperienza da vivere e un'occasione da sfruttare per una passeggiata lungo la stradina che dalla rinnovata "Acquavena" porta lungo la via Roma fino alla parte retrostante la Chiesa della nostra Madonna della Provvidenza con il suo campanile, offrendo angoli e scorci di viuzze erte ma affascinanti.


Altra indiscussa protagonista è stata tutta la nostra comunità che, compatta, ha collaborato per la realizzazione e l'ottima riuscita dell'evento, con la partecipazione corale di tutti alla realizzazione della festa. Chi ci ha visitato ha avuto modo di ammirare ed apprezzare le bellezze dei lavori artigianali esposti lungo le vie, la buona atmosfera musicale, gli odori dei cibi genuini nell'aria, i sapori da non dimenticare.


I visitatori inoltre hanno portato con sé oltre a tanti buoni prodotti, anche il ricordo di un senso dell'accoglienza elevato e palpabile, che sarà il miglior presupposto per tornare l'anno venturo.


L'impegno dell'Amministrazione Comunale per l'anno prossimo sarà quello di migliorare e far crescere la manifestazione, evitando di ripetere eventuali errori commessi, certi che con l'aiuto di tutti i cittadini questo sarà un modo per progredire insieme nell'interesse di tutta la nostra comunità.

Pubblicato in Feste popolari
Giovedì, 09 Maggio 2013 17:46

Antillo - Carnevale

 

"U Campanaru", di Rodì Milici (I mesi dell'anno), di S. Stefano Briga ("A Vecchia i Cannaluvari") e di S. Fratello ("U Pueta") quello di Antillo può essere annoverato tra le manifestazioni carnascialesche più caratteristiche dell'intera provincia di Messina.

Dal 2° dopoguerra in poi, per parecchi decenni e almeno fino agli anni '70, la ricorrenza del Carnevale ha rappresentato per la comunità antillese non solo un atteso momento di evasione dalla "routine" giornaliera e dai molteplici problemi in un'epoca di grandi privazioni materiali, ma anche un'irripetibile occasione di socializzazione in tempi in cui le relazioni interpersonali erano tutt'altro che agevoli.

La fama e la fortuna del Carnevale Antillese è da attribuire in larga misura alle peculiarità estetiche e alla valenza socio-culturale della sua maschera tradizionale: "U Picuraru" che grazie al tipico travestimento simboleggiava in modo esemplare il desiderio dell'Uomo di esorcizzare l'angoscia e la paura di regredire allo stato primordiale con la conseguente perdita di tutti quei privilegi connessi al progresso morale e materiale conseguito in tutti questi secoli dall'Umanità.

Elementi tipici dell'abbigliamento du picuraru erano: a meusa, a cammicia i tila janca, u rubbuni i trappu, 'na tuvagghia i facci rraccamata e 'ntrizzata, i causeddi i peddi, i scarpi i pilu cchi stradderi. La maschera era 'u facciali, un telo bianco con due buchi per gli occhi.

Immancabili accessori erano i campani, una dozzina di pesanti campanacci che pendevano dalla cintura e a bbertula che conteneva un pezzu i frummaggiu e 'na petra fucala. 'U jornu i Carnaluvari i Picurari si riunivano in gruppi di 10-12 elementi e sfilavano per le vie del paese. Ad ogni minimo movimento dei mascherati i campani producevano un rumore assordante incutendo timore alla gente, soprattutto tra i bambini che fuggivano terrorizzati. Talvolta capitava che qualcuno rivolto ai picurari facesse la seguente richiesta rituale: picuraru mu duni un pezzu i frummaggiu; dammi u cuteddu chi tt'u tagghiu rispondeva il mascherato. Se il malcapitato gli dava il coltello u picuraru facia a 'ffinta i mmularlu 'ca petra fucala, ma in realtà 'u sgangava. Lo scherzo veniva comunque ricompensato con un pezzo di formaggio.

La sfilata si concludeva finalmente in piazza cu 'na contradanza che i picurari ballavano cchi ddami, maschere femminili, espressione del Bene, immersi nel frastuono di campani mossi dai passi di danza e delle grida della folla festante che sovrastavano il suono degli strumenti.

Pubblicato in Feste popolari
Giovedì, 09 Maggio 2013 17:44

Antillo - S.Giuseppe

 


II 1 ° Maggio 2001, in Antillo fu festa, fu processione di San Giuseppe, fu serata di liscio; oserei dire, scherzando, fu sacro e fu profano insieme; ma, in realtà, seriamente la Comunità proprio di questo ha bisogno e così si esprime.
Papa Pio XII, nel 1955, proclamava San Giuseppe patrono degli artigiani e dei lavoratori, stabilendo la festa di San Giuseppe Lavoratore il 1° Maggio.


Da allora ogni anno in Antillo il 1° Maggio aveva luogo la processione di San Giuseppe, a cui sempre seguiva la proiezione di un film in piazza, fino al 1970.


Quattro anni fa, il maestro Giuseppe Paratore aveva vagheggiato proposta di festeggiare San Giuseppe, con la collaborazione di tutti i Giuseppe del paese; quell'idea si era concretizzata due anni fa, nel 1999, per iniziativa dell'ottantanovenne Giuseppe Lettina ed il 20 giugno (per motivi di organizzazione) ci fu la processione di San Giuseppe.


II signor Giuseppe Lettina, veterano in materia di organizzare feste e consapevole della responsabilità e della fatica necessaria, quest'anno ha desiderato che il 1 ° maggio si ripetesse la processione di San Giuseppe in modo più solenne, e ci ha pensato per tempo.
 È stato collaborato attivamente dal Signor Giuseppe Sturiale, dall'Assessore Davide Paratore, da alcuni Giuseppe (a tutt'oggi ne risultano all'anagrafe n. 69), da qualche volontario, dall'Amministrazione Comunale, dall'Arma dei Carabinieri, dal Vigile Urbano e dalla Protezione Civile di Antillo.


Ha organizzato tutto come avveniva 40 anni addietro e, a sue spese, ha fatto mettere l'illuminazione sulla facciata della Chiesa e sulla via Roma, oltre addobbi con bandiere e striscioni per le strade e nella piazza.


È stato collaborato dalla locale Banda musicale "V. Bellini", sempre pronta ad eseguire marce sinfoniche prima e dopo le messe, ed in mattinata il giro per le vie del paese.
La cittadinanza ha colto veramente un'aria di festa e, oltre ai Giuseppe, molti fedeli hanno dato spontaneamente il loro contributo.
La serata è stata bella e tutta la Comunità si è mossa ed ha partecipato massicciamente alla processione.


Alla fine della messa, dalle proprie case, ognuno ha potuto ammirare i fuochi d'artificio sparati al "Giardino di Redenzione".


Dalle ore 21 fino a mezzanotte c'è stato Liscio per tutti, tenuto dai "Lisciomania di Antillo" e tutti i Cittadini si sono divertiti ,, specie i bambini che frequentano la Scuola di ballo.

Pubblicato in Feste popolari
Giovedì, 09 Maggio 2013 17:42

Antillo - S. Maria della Provvidenza

 

Ininterrottamente da oltre due secoli ormai, il 22 agosto di ogni anno, si celebra ad Antillo, con sincera devozione e grande partecipazione di fedeli, provenienti anche dai paesi limitrofi, la festa in onore della Patrona, S. Maria della Provvidenza. Si tratta di una festività religiosa (per i locali la “Festa” per antonomasia) particolarmente sentita ed attesa nella comunità antillese, soprattutto tra gli emigrati compresi quelli che, per vari motivi, ad agosto non possono rientrare nel paese natio.
A distanza di due secoli la tradizione rimane inalterata e, puntualmente, il 22 agosto non appena la Vara con la Sacra Immagine viene posta sul portale della Chiesa, la Piazza stracolma di fedeli viene invasa dal crepitìo assordante della “moschetteria” e da migliaia di tagliandini inneggianti a S. Maria della Provvidenza.
Ed è in questo clima di sincero fervore e di autentico tripudio popolare che, accompagnato dal locale Corpo Bandistico “Vincenzo Bellini”, prende il via il Corteo religioso in cui continuamente la componente religiosa si fonda armoniosamente con elementi folcloristici come i caratteristici slogan che acclamano S. Maria della Provvidenza: “Evviva, Evviva S. Maria di la Pruvvidenza/e cu ‘cchiù beni la voli ‘cchiù forti la ‘gghiami/Evviva la Gran Signora Maria”, gridati a squarciagola, ininterrottamente, dai fedeli che si assumono l’estenuante, ma ambito incarico di portare “a spalla” la Vara con il Simulacro lungo l’intero percorso della Processione. A mano a mano che il Corteo percorre l’itinerario prestabilito che attraversa le arterie principali del paese: le vie C. Battisti, Messina, Roma, Europa e le frazioni Staiti, Ferraro, Cicala, Canigliari, l’arrivo della Patrona nei vari quartieri viene accolto dalla consueta salva di colpi di mortaio. Solo quando è notte fonda, il Corteo religioso, preceduto dalla Croce e dagli stendardi dei vari Ordini Religiosi, fa il suo rientro in Chiesa tra gli ormai usuali colpi di mortaio e tra le ovazioni e gli applausi scroscianti dei devoti.
La folla, intanto, dopo aver fatto tappa in Chiesa per tributare l’ennesimo riverente saluto alla Sacra Effigie, si avvia, con calma, nei pressi della fontana Acquavena ed in altri punti panoramici della zona per assistere “o giocu focu”, l’attesissimo spettacolo pirotecnico che conclude i festeggiamenti in onore della Santa Protettrice di Antillo.

Pubblicato in Feste popolari

Calendario

« Maggio 2013 »
Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31