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NOI, GLI UOMINI DI FALCONE un libro di Angiolo Pellegrini con Francesco Condoluci. - L'Intervista al Generale dei Carabinieri Angiolo Pellegrini.

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Sia dal titolo,Noi gli uomini ….. , che da tutto il resto del libro si evince la voglia che l’autore, il generale Pellegrini , ha di celebrare i vinti e i vincitori.
I vinti sono coloro i quali , in una stagione di mafia , come quella degli anni “80”, hanno visto il loro futuro spezzato, negato ; i vincitori sono coloro i quali hanno combattuto e stanno continuando a combattere affinché vi sia un futuro possibile, possibile senza le mafie.
Il filo conduttore che unisce un futuro negato da un futuro possibile è la memoria e di memoria questo libro ne è ricco . Ricco di date, informazioni, trame a volte dipanate, dubbi risolti o ancora insoluti.
Leggerlo è stato come sgranare un rosario di morti. Tutte ferite al cuore della Sicilia: una ferita per Dalla Chiesa, una per Ninni Cassarà, , per Rocco Chinnici, per D’Aleo , una ferita per Pio La Torre , una per Beppe Montana e4 ferita dopo ferita si lacerava e si sporcava la nostra Sicilia ; di contro vi erano, come si legge, una miriade di rapporti : Il rapporto Madonia, il rapporto Michele Greco, il rapporto Riccobono e ancora, il rapporto Dalla Chiesa , il rapporto Chinnici.
Troppe volte ho letto tra le pagine : Dalla Chiesa aveva ragione, l’indagine svolta da Ninni Cassarà andavano nella giusta direzione , le intuizioni di Giovanni Falcone erano esatte. Uomini , questi ,morti perché adempivano al proprio dovere .. Lo diciamo così troppe spesso , lo racconto ai ragazzi così tante volte che è rientrato nella normalità morire perché si svolge onestamente il proprio dovere ma questi uomini aveva una necessaria priorità , proprio perché siciliani ; ovvero rendere i giusti meriti ai siciliani onesti e strappare quella pezza d’infamità che vestiva la Sicilia in quegli anni .
Angiolo Pellegrini e Francesco Condoluci , unitamente e chiaramente hanno denunciato , in questo libro, fatti e misfatti di una politica corrotta , fatta da uomini ignobili e personaggi corruttibili di uno Stato che ha saputo proteggere Masino, al secolo ,Tommaso Buscetta ma che ha condannato a morte , isolandoli , i vinti di questo libro memoria dove i vincitori non sono dei veri e propri vincitori , né morali, né reali né materiali ma sono solo sopravvissuti , sopravvissuti alla più grande stagione di mafia cruenta e crudele
Per la prima volta quindi; senza cadere nei fraintendimenti e senza usare mezze parole , Angiolo Pellegrini ci racconta dei suoi sospetti, dei sospetti di Giovanni Falcone ; sospetti che cadono dentro le istituzioni , tra gli uomini della politica , tra gli agenti in divisa e quando lo fa riferendosi proprio alla strage della circonvallazione è come se avesse ascoltato i miei sospetti e inconsapevolmente mi aiuta a mettere l’ultimo tassello sul tragico mosaico che racconta la strage della circonvallazione.
Questo Libro è un libro memoria, un dossier, un libro guida ma sopratutto la storia di un sopravvissuto , Un sopravvissuto che ha collezionato tante medaglie sul petto ma altrettante cicatrici sul cuore ; di un uomo che è riuscito a scampare all’agguato dei mafiosi ma non al dolore per la perdita dei suoi più cari amici.
Fino all’ultimo, il generale Pellegrini , ci lascia con l’amaro in bocca e ce lo dice chiaramente: “Questa guerra si poteva vincere , arrestando mafiosi e corrotti “ ma c’era chi dall’altra parte aveva deciso chi questa guerra avrebbe dovuto vincere ; chi questa guerra avrebbe dovuto perderla e per quanto la Carta Costituzionale ci dica che lo Stato siamo tutti noi italiani a perderla sono stati soprattutto i siciliani onesti , coloro i quali indossano un abito scomodo.
Una frase mi ha colpito, una frase emblematica che è un tormentone per quasi tutto il libro , conclusiva, decisiva , secondo me l’essenza e il senso stesso del libro quella che mi ha fatto conoscere e capire chi è l’autore, chi è Angiolo Pellegrini e ce la ripete fino alla fine :“CHI TOCCA I SALVO MUORE. E NON SOLO FISICAMENTE” Ecco !! “Non solo fisicamente” Perché chi non è stato colpito dal piombo porta cicatrici indelebili ed insanabili , ferite che fanno certamente pensare , meditare, riflettere e anche tormentare ma tuttavia non possono morire con i morti perché non si possono uccidere perché sono , per quanto dolorose memoria storica e di memoria abbiamo il dovere di vivere.
Lo faccio io in qualità di familiare vittima, lo fa Libera associazione “nomi e numeri contro le mafie”, lo abbiamo fatto ieri e continuiamo a farlo oggi, in questo preciso istante per i motivi che tutti sappiamo perché la guerra non è mai finita e per quante ferite ci ha lasciato addosso e per quante lacrime ci ha fatto piangere abbiamo il sacrosanto diritto di VINCERLA per questo dobbiamo continuare a lottare.
Il generale Pellegrini , la banda di Billy the kid, Francesco Condoluci e Attilio Bolzoni ci danno , in questo libro gli spunti giusti per rimanere , come dice Pellegrini, a schiena dritta e continuale a combattere.
La banda di Billy the kid altri non è che la banda di Pellegrini, intesa così dai mafiosi vi ha fatto parte anche mio cugini, Antonio Curcio , tra le pagine nominato “Alfieddu” ; l’ultimo aggiunto alla banda Pellegrini ma il primo a chinarsi sul corpo inerme di mio fratello , aveva appena qualche anno in più di Salvatore , appena 21 . Mi racconto:” Era come se il cuore mi parlasse , andai per primo da lui, gli estrassi il portafoglio e quando ne lessi nome e cognome mi sentii trafitto , lo guardai in viso” , mi riferì: “Paria quasi mi sorridesse, tanto era sereno”. Forse negli ultimi suoi istanti ha rivisto la sua mamma quella con la quale aveva un rapporto straordinario. ma mi addolora sapere che due cugini si sono incontrati e conosciuti per la prima volta in quel modo così tragico,da una parte un futuro negato; dall’altra un futuro possibile ma entrambi dentro un abito scomodo.-Raccogliendo quel testimone in questa staffetta alla legalità anch’io, come il Generale Pellegrini ,mi sento dentro un abito scomodo. Tutti noi , come Giovanni Falcone , dobbiamo sentirci dentro un abito scomodo …. Scomodo per la mafia , scomodo per la corruzione , scomodo per ogni forma di illegalità ma tanto adatto su chi ama fare della VERITA’ e della GIUSTIZIA ragione di vita e in questo il generale Pellegrini è recidivo perché nonostante il cambio di ruolo ,nonostante il suo pensionamento , con la pubblicazione di questo libro denuncia ci fa intendere di non aver mai chiuso nessuna partita né contro le mafie, nè contro la corruzione.

 

Speciale Carabinieri bozza finale-22 Strage di Capaci rid

 

La prima scena-chiave è dentro un’aula di tribunale. Caltanissetta, primavera del 1984. Si celebra il primo processo per la strage di via Federico Pipitone nella quale, l’estate precedente, Cosa Nostra, per mezzo di un’autobomba “alla libanese”, ha eliminato il consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, Rocco Chinnici. Chiamato a testimoniare, il capitano Angiolo Pellegrini, che da tre anni comanda la sezione Anticrimine dei Carabinieri nel capoluogo siciliano, afferma davanti ai giudici che Chinnici, poco prima di essere ucciso, gli aveva confidato che intendeva arrestare i cugini Ignazio e Nino Salvo, i potentissimi esattori di Salemi che da due decenni, grazie anche al ruolo di grandi elettori della Democrazia Cristiana, sono i veri padroni economici della Sicilia. Prima di Pellegrini, soltanto il commissario della squadra Mobile palermitana Ninni Cassarà, aveva avuto il coraggio nel corso della celebrazione del processo Chinnici, di tirare in ballo i cugini Salvo come possibili mandanti della strage. Altri, compresi alcuni magistrati colleghi di Chinnici nell’Ufficio Istruzione, avevano taciuto e in qualche caso, negato. Per gli ambienti politici ed economici dell’isola è una bufera, da lì a breve i Salvo ma anche l’ex sindaco diccì di Palermo Vito Ciancimino conosceranno l’onta delle manette. Per il capitano Pellegrini invece, quello sarà “l’inizio della fine”. Una lunga e dolorosa discesa verso l’isolamento e il successivo allontanamento forzato da Palermo “per ordini superiori”.

L’attentato a Chinnici e il processo che ne segue, sono il cuore del prologo del libro nel quale Pellegrini, per la prima volta dopo trent’anni, ricostruisce i cinque anni passati in Sicilia tra il 1981 e il 1985, come ufficiale di fiducia dei magistrati del pool antimafia di Palermo con in testa Giovanni Falcone. Un periodo esaltante e tragico allo stesso tempo, che lo vede protagonista in prima persona delle indagini sulla seconda guerra di mafia – la carneficina scatenata dai Corleonesi contro le vecchie famiglie palermitane alleate dei Bontate, degli Inzerillo, dei Badalamenti, che tra il 1981 e il 1983 fece oltre mille morti in tutta l’isola – e poi dei principali avvenimenti che hanno segnato la storia recente della Sicilia e dell’intero Paese: l’omicidio Dalla Chiesa (capitolo 5) la strage Chinnici appunto (capitolo 7), l’ascesa di Totò Riina e Binnu Provenzano al vertice di Cosa Nostra (capitoli 2 e 7), il pentimento di Tommaso Buscetta (capitolo 8) e la preparazione del maxiprocesso contro la mafia del 1986, il più grande processo penale mai celebrato nella storia.

Angiolo Pellegrini è l’uomo che, grazie al suo acume e ai suoi metodi investigativi innovativi, prima si conquista la fiducia di Falcone («Dottore, è inutile che carabinieri e polizia accorrano tutti sulla scena del crimine e stiano dietro a ogni singolo fatto di sangue, qui bisogna che qualcuno si occupi di mettere insieme gli elementi investigativi e studiare i collegamenti tra le cosche» dice al giudice nel loro primo colloquio che segnerà l’inizio di un lungo sodalizio professionale, pag. 40) e poi contribuisce in maniera determinante, con i suoi rapporti giudiziari, le sue intuizioni, il suo apporto costante ai magistrati del pool, a costruire i “mattoni” che renderanno possibile la celebrazione del maxiprocesso. A partire dalla stesura del “rapporto dei 162” (capitolo 4) il dossier attraverso cui, Pellegrini insieme a Cassarà, lavorando per 44 notti nell’infuocata estate del 1982, getteranno una nuova luce sull’organigramma delle cosche mafiose siciliane, dopo un decennio di buio totale sulla “nuova mafia”, quella del business della droga e degli appalti e degli addentellati con la politica, la massoneria e la finanza internazionale.

La narrazione è intensa, serrata, avvincente, raccontata per una volta dalla parte di chi si sporcava le mani a fare le indagini, ricca di squarci inediti e inquietanti, come i tentativi di delegittimazione nei confronti di Dalla Chiesa da parte di istituzioni, politica e anche all’interno delle stesse forze armate, dopo la sua nomina a prefetto di Palermo (pag. 89). Pellegrini racconta del sottobosco fatto di ufficiali dell’Arma infedeli, uomini politici collusi e persino giornalisti “a libro paga” che, in quegli anni, si muove in una Palermo “infetta e infida” completamente soggiogata dai clan “emergenti” che, a suon di kalashnikov e mazzette, hanno conquistato il potere. Una città-mattatoio dove, sullo sfondo di agguati e sparatorie ad ogni angolo delle strade e nell’indifferenza del resto del Paese e del potere centrale, uno sparuto gruppo di uomini – i giudici Falcone e Chinnici con gli altri colleghi del pool, i poliziotti Cassarà e Montana, Pellegrini e la sua “banda” di segugi e sottufficiali, gli altri ufficiali dell’Arma D’Aleo e Honorati – cerca di far fronte agli attacchi della “piovra” e combattere una guerra che “nessuno a Roma vuole vincere davvero”.

Il libro rievoca pagine di storia dimenticate, come le indagini che il capitano Pellegrini – ribattezzato “Billy the Kid” dai suoi uomini e dai suoi nemici sulle strade di Palermo – aveva eseguito sul conto del boss Provenzano nell’autunno del 1983 (capitolo 7) cioè ben 23 anni prima che “l’ultimo dei padrini” venisse catturato, e rende giustizia a vicende discusse, come la gestione del pentimento di Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi che lo stesso Pellegrini andò in Brasile a prendere dopo l’estradizione, raccogliendo, durante il viaggio aereo di rientro, il suo sfogo e la sua decisione di mettersi a disposizione della giustizia (pag. 175). Le confessioni di Buscetta e l’operazione “Cosa Nostra” che ne scaturirà rappresenteranno tuttavia il canto del cigno del valoroso fronte antimafia palermitano dei primi anni ‘80: dopo gli arresti e le fasi preliminari della storica ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio per 841 mafiosi che condurrà al maxiprocesso, per Falcone e i suoi colleghi inizierà la lunga e graduale stagione dell’isolamento, delle critiche, della delegittimazione che culminerà nell’agosto del 1985, con l’uccisione di Montana e con quella di Cassarà che segue la tragica morte in Questura del pescatore Salvatore Marino, sospettato di essere un fiancheggiatore delle cosche (capitolo 10). Attorno a Pellegrini, i colleghi muoiono o vengono trasferiti: e alla fine anche lui pagherà il conto aperto con Cosa Nostra e i suoi compari dentro il Palazzo. Scampato ad un attentato da parte dei due superkiller Pino Greco “Scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo (pag. 216), viene trasferito definitivamente da Palermo ufficialmente per ragioni di sicurezza e non riuscirà a ritornarci per molto tempo. “Chi tocca i Salvo muore” annota Pellegrini con rabbia sulla sua agenda, prima di prendere la nave che lo porterà lontano dalla Sicilia. Con “Noi, gli uomini di Falcone”, Angiolo Pellegrini ha voluto raccontare questa storia, per rendere omaggio alla figura del giudice ucciso a Capaci nel ’92 al quale è stato legato da una profonda intesa professionale cementata dal lavoro fianco a fianco di quasi 5 anni, dalle missioni compiute in Brasile e in Canada (capitoli 8 e 9) e dalla gestione di Buscetta (molti i particolari inediti e gustosi del magistrato che emergono dalle pagine). Ma questo libro è dedicato anche ai valorosi uomini con i quali Pellegrini ha combattuto questa battaglia epica e che hanno pagato con la vita la loro sfida alla mafia e alle vittime che in tutti questi anni sono sprofondate nell’oblio. Ed è soprattutto un racconto “dal di dentro” degli anni della seconda guerra di mafia a Palermo – illustrato anche da un ricco inserto fotografico contenente immagini esclusive di Giovanni Falcone e dei magistrati e investigatori con cui ha collaborato Pellegrini nonché materiale investigativo tratto dall’archivio personale del protagonista – ma è soprattutto una denuncia vivida e ancora scottante contro chi, nei palazzi del potere e della politica, la guerra contro Cosa Nostra, non l’ha voluta vincere davvero

 

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Angiolo Pellegrini è un generale dell’Arma dei Carabinieri in pensione. Ha collaborato con i magistrati palermitani del pool antimafia, dirigendo la sezione Anticrimine dal 1981. Erano anni cruciali delle stragi, degli uomini delle istituzioni uccisi uno dopo l’altro. Di quegli anni, con Francesco Condoluci, Angiolo Pellegrini ha scritto la cronaca: Noi, gli uomini di Falcone (Sperling & Kupfer, 2015).

 

Generale, sono passati alcuni anni dai fatti che lei racconta nel suo libro Noi, gli uomini di Falcone. È venuto il momento, evidentemente, in cui per qualche ragione ha sentito l’esigenza di raccontare i fatti di un periodo davvero sanguinoso. Vuol parlare di queste ragioni?

 

Il desiderio di raccontare quanto si verificò negli anni tra il 1981 ed il 1985 è scaturito soprattutto da due ragioni e da una situazione contingente: la possibilità di avere tempo a disposizione per sistemare e riordinare tutta la documentazione in mio possesso relativa proprio a quegli anni. Nel ritrovare tra le mani tutto questo materiale, mi ha spinto a rileggere, in maniera unitaria ed organica, gran parte degli accadimenti di quegli anni terribili. A questo punto ho ritenuto che sarebbe stato interessante raccontare i fatti relativi a quegli anni come effettivamente si erano svolti e così tramandare un “pezzo” di storia d’Italia, spesso dimenticata e talvolta narrata in maniera non sempre corretta o superficiale, soprattutto in occasione degli anniversari di stragi o di omicidi di fedeli servitori delle Istituzioni. E ancora, perché non fornire ai giovani, anche attraverso la scuola, un documento attraverso il quale possano comprendere il vero significato delle parole “mafia” e “cosa nostra” e di quali scellerati delitti ebbero a macchiarsi gli appartenenti alle organizzazioni criminali e possa restare loro impresso il sacrificio di tanti uomini e donne, che per un ideale di “dovere e di “giustizia”, sacrificarono le loro vite. Il libro infatti è proprio dedicato “alle vittime ed ai sopravvissuti del fronte siciliano. E a tutti quelli che hanno combattuto la mafia in silenzio e nel silenzio sono caduti, sprofondando nell’oblio”.

 

Indubbiamente lei, come tanti altri uomini delle istituzioni, ha attraversato anni duri, pagando un prezzo sul piano personale. Alla luce dello smantellamento del pool antimafia e di tutto quello che è accaduto, che nel sottotitolo del libro viene riassunto con le parole “La guerra che ci impedirono di vincere”, ne valeva la pena?

 

Certo che ne è valsa la pena! Pur se ho dovuto “amaramente” riconoscere che “avremmo potuto arrestarli tutti, mafiosi e pezzi infedeli dello Stato. Ma qualcuno, in alto, si è tirato indietro sul più bello”; i nostri sacrifici personali sono valsi a dare un volto a “cosa nostra” della quale, nonostante il ripersi di omicidi c.d. “eccellenti” verificatisi negli anni precedenti al 1981, molti negavano l’esistenza. Inoltre aver reso possibile, attraverso la celebrazione del maxi-processo, di pervenire alla individuazione ed alla condanna dei capi dell’organizzazione criminale, è stato un successo straordinario, impensabile fino a pochi anni prima. In definitiva, siamo stati i vincitori di tante battaglie importantissime ma, come ho dovuto alla fine ammettere abbiamo perso la “nostra” guerra, e mi sento di dover dire “nostra” perché in definitiva, ad un certo punto, la “guerra” alla mafia era divenuta più un fatto personale di “pochi” che un problema per lo Stato.

 

Lei crede che, come diceva Giovanni Falcone, la mafia sia destinata, come tutti i fenomeni umani, a scomparire? O piuttosto a trasformarsi, quindi a sopravvivere con una diversa fisionomia? Insomma, secondo lei quella guerra che allora fu impedito di vincere potrà essere vinta, in un mutato contesto.

 

Personalmente trovo nelle parole di Falcone un convinto messaggio di speranza. E’ pur vero che la mafia, dopo gli anni ’90 , durante i quali ritenne di poter portare un vero e proprio attacco allo Stato, ha perso buona parte di quegli appoggi politici, culturali ed imprenditoriali che l’avevano resa così forte da considerarsi invincibile. Ma ancora oggi ed è nelle cronache di ogni giorno, continua a godere di connivenze ad ogni livello, che rendono spesso difficoltose le indagini delle Forze di Polizia. Non sarei portato a escludere, inoltre, che alcuni mafiosi abbiano messo in atto un processo di trasformazione, mimetizzandosi in vari Paesi della Comunità europea e d’oltre oceano. Proprio tale possibilità renderà ancor più difficoltose le indagini, non esistendo ancora a livello internazionale la possibilità di applicare le leggi vigenti in Italia sull’associazione mafiosa e sulla confisca dei beni. E’ sempre più urgente proseguire nel cammino tracciato proprio da Falcone nel settore della collaborazione internazionale.

 

Nel dialogare con i potenziali lettori, durante le presentazioni del libro e le altre manifestazioni alle quali lei partecipa, come persona che fu protagonista di quella stagione dell’antimafia, avverte un interesse autentico del pubblico, in particolare dei giovani, per queste tematiche, un bisogno di comprendere il passato per decifrare e affrontare il presente e il futuro?

 

         Durante le numerose presentazioni del libro alle quali ho avuto il piacere di partecipare, specialmente se organizzate da chi “antimafia” la fa sul serio e non solo a parole o per interessi personali – occorre essere molto selettivi nell’accettare gli inviti – ho sempre rilevato un notevole interesse dei presenti nei confronti dei temi trattati nel libro. Tale interesse mi è stato possibile coglierlo soprattutto tra i giovani e questo mi ha portato a sollecitare, per quanto mi è stato consentito, la possibilità di presentare il libro presso gli istituti scolastici. A tal proposito sto valutando la possibilità di donare un adeguato numero di copie del libro alle biblioteche degli Istituti di istruzione superiore e di organizzare incontri con magistrati e rappresentanti delle Forze di Polizia, che hanno vissuto le fasi più intense di lotta alla mafia, per illustrare ai giovani cosa siano significati per il Paese quegli anni, durante i quali cosa nostra tentò di portare “una guerra” alle stesse Istituzioni.

 

Ultima modifica il Martedì, 12 Aprile 2016 06:47
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