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Le origini e i territori

Scritto da  Apr 26, 2013

La falce eviratrice   cadendo dal cielo sulla terra, secondo la mitologia, dà luogo allo   straordinario porto di Messina. Origine fatale le cui conseguenze segnano la   storia della città e del suo porto. Cronos, dio del tempo infinito,   usurpa il potere al proprio padre Urano evirandolo e, temendo che   altrettanto possano fare a loro volta i figli da lui generati, non esita ad   eliminarli divorandoli.

Destino altrettanto   crudele pare sia riservato alla città nata attorno alla falce parricida,   città creata da Cronos e da questo, di tempo in tempo, fagocitata per sempre   rinascere contro l'ineluttabile primordiale vaticinio. Ogni tipo di avversità   nella sua storia plurimillenaria si è abbattuto sull'abitato attorno al porto   falcato, la cieca falce ha mietuto quanto vedeva ma, ciò malgrado, la vita è   tornata ognora a rifiorire.

Paradossalmente il   mito delle origini ripetuto nell'arco dei secoli, quasi come un ritmo   ancestrale, incalzante, pare voglia segnare la vita della città dello   Stretto. Luogo del paradosso, sede privilegiata della leggenda di Scilla e   Cariddi, in un territorio segnato dalla presenza di Vulcano, Eolo, dei   Ciclopi e dei Giganti come Orione, altro ecista della nostra città, che con   grossi blocchi consolida la falce che difende il cerchio d'acqua del riparo   ai naviganti. Cronos, Orione, entrambi collegati alla nascita del porto.

Zanclon la falce, Zanclo   altro fondatore di quella che, con la venuta dei greci dalla Calcide, diviene   la città di Zancle. Una narrazione complessa quella delle origini, una   narrazione che risale alla preistoria, prima che Omero rendesse famose le   nostre perigliose acque abitate da fascinose femmine anch'esse divoratrici di   uomini come Cronos.

In verità, tale mito   fondante trova un reale riscontro nell'analisi che il geologo oggi conduce   alla ricerca delle origini di questo molto particolare sito della riva   occidentale dello Stretto. Dalle foci dell'Alcantara, al limite meridionale   della catena peloritana, sino a giungere alla spiaggia del Faro, la costa   jonica non presenta la possibilità di riparo se non a ridosso dei Capi di   Taormina, S. Alessio, Alì e Scaletta, sia pure in condizioni di evidente   precarietà.

II porto di Messina   di contro offre e soprattutto offriva in passato un riparo sicuro al   navigante, che ancor più apprezzava i vantaggi del nostro scalo se si ricorda   la particolarità delle acque dello Stretto, temute sin dal tempo degli   argonauti. Un porto naturale ampio e protetto dai venti di traversia, un vero   dono della natura a quanti solcavano queste acque perigliose provenendo da   ogni parte del Mediterraneo. Da ciò la fortuna e la fama del porto falcato   che per le sue specificità sembrava opera primordiale di un dio, poi ancor   meglio sistemato da un gigante come Orione. Ancora nel XVIII secolo veniva   reputato il porto più ampio, più agevole e più sicuro dell'intero mar   Mediterraneo. A tanta fama certo concorreva l'architettura dei palazzi che a   schiera ne cingevano la porzione sud occidentale.

Era quello il "Teatro   marittimo" che, con unico disegno ed in pietra bianca, accoglieva i   viaggiatori al loro giungere a Messina. Tralasciando il pur fascinoso mito   della fondazione ed esaminando i dati stratigrafici raccolti negli scavi che   in tempi recenti hanno indagato il sottosuolo del centro storico della città,   si hanno oggi gli elementi che consentono la ricostruzione dei modi e dei   tempi in cui si è formato questo tratto di costa. Nella parte settentrionale   dei Monti Peloritani, là dove questi si contrappongono al massiccio   aspromontano lasciando in mezzo la via d'acqua che costituisce lo Stretto di   Messina, la base delle colline che declinano verso Capo Peloro si allarga in   una pianura, la più vasta di questo versante della catena.

A partire da sud, da   Capo Scaletta, proprio là dove inizia oggi il territorio metropolitano, la   fascia costiera si allarga progressivamente, insinuandosi nelle brevi valli   che, quasi con ritmo cadenzato, ne caratterizzano l'andamento morfologico. II   massimo dell'ampiezza, pur sempre relativa, si raggiunge nella pianura a sud   del porto, tra il torrente Gazzi e la foce del Camaro. Questi due corsi   d'acqua possono in un certo senso considerarsi gli artefici di quel cerchio   d'acqua che ancor oggi offrono tranquillo riparo a chi va per mare. Qui, nel   corso del tempo, sono giunti con le continue alluvioni quei materi2 su cui   poggia l'abitato peloritano e qui braccio di terra ritenuto opera di Cronos o   Saturno. Qui la stratigrafia restituisce le fa di formazione in un   susseguirsi di livelli di sabbia, ghiaia o ciottoli che negli ultimi   quattromila anni si sono accumulati sino raggiungere spessori che normalmente   aggirano attorno ai dieci metri.

All'apporto cospicuo   e costante di torrenti si è accompagnata l'azione delle correnti marine che   con la nota energia hanno distribuito questi materiali alluvionali lungo la   fascia costiera anche in funzione dei movimenti contrapposti di "montante"   e ""scendente". Ancor oggi cadenzato secondo ritmi   consolidati, proprio all'esterno della falce del porto si forma il cosiddetto   "Garoffalo", evidente nell'incresparsi della superficie del mare in   conseguenza del gioco delle correnti. Probabilmente, dove oggi si inarca il   "braccio di S. Raineri", vi erano degli scogli costituiti   dal substrato della struttura micascistica dei Peloritani che qui   riaffiorava.

Grazie pure alla   presenza di acque di falda che favorivano l'aggregazione di sabbie e ghiaie   si è giunti alla formazione di spesse bancate di "puddinghe" già   utilizzate per cavarne pietre da macina o materiale da costruzione, ma che   hanno costituito la base attorno alla quale si è andata consolidando la   falce. Quindi una formazione relativamente recente quella del porto di   Messina che va collegata alle caratteristiche ed alle dinamiche del   territorio circostante come pure ai particolari fenomeni meteomarini   peculiari dell'area dello Stretto.

Esemplificando si   può affermare che gli abbondanti materiali alluvionali trasportati a valle   dai torrenti a sud dell'attuale porto venivano poi distribuiti in direzione   nord dall'azione del mare, sino a giungere, nel corso di un'azione durata   millenni, a ciò che oggi vediamo e cioè un braccio di terra che staccandosi   dalla pianura cinge un ampio cerchio d'acqua, lasciando un comodo varco a   nord-ovest. Di questo porto naturale posto quasi al termine della riva nord   orientale dell'Isola (Lat. N. 38° 11'32" e Longit. G.W. 15° 34'34' )   sono di circa 80 ettari di acque interne al braccio di terra che si conclude   con il Forte del SS. Salvatore cui segue l'ingresso di circa 400 metri di ampiezza.

Tale apertura lo   rende marginalmente esposto ai venti del I quadrante di greco e levante. I   terreni del Braccio di S. Raineri, esclusi quelli di pertinenza della Marina   Militare, assommano a circa 320.000 mq.. La marea si alza in media 20 cm. ma   nelle sigizie raggiungono anche i 70 cm. d'altezza, tale fenomeno si   manifesta in occasione del plenilunio e del novilunio, solitamente attorno al   mezzogiorno.

Dal libro "Il   Porto di Messina dagli argomenti ai croceristi" di Franz   Riccobono edito da Skriba

Si ringrazia   Franz Riccobono e l’editore per l’autorizzazione

Ultima modifica il Domenica, 23 Ottobre 2016 04:54
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