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Il libro di Mimmo Mòllica su Carlo Meucci presentato all’U.T.E. di Barcellona Pozzo di Gotto

- di Marcello Crinò -

E’ stato un incontro emozionante quello di sabato 1 aprile all’Università della Terza Età di Barcellona, nel corso del quale è stata rievocata la figura di Carlo Meucci, figlio di Antonio (1808-1889), inventore del telefono. La serata è stata infatti incentrata sulla ricostruzione della vita di Carlo, vissuto anche a Barcellona Pozzo di Gotto, e sepolto a Patti, dove è morto nel 1966.

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Tutto prende le mosse dal libro del giornalista Mimmo Mòllica, nativo di Gioiosa Marea ma vissuto per alcuni anni anche a Barcellona. Il suo libro “Meucci il figlio del…telefono mendicante a Tindari” (Armenio Editore, 2016), getta luce sul questa figura a partire dalla sua data di nascita, che oscilla tra il 3 e il 4 novembre 1872. Su tutti i documenti rilasciati dai Comuni siciliani dove Carlo Meucci abitò e fu registrato anagraficamente risulta essere figlio di Antonino Meucci ed Ester Mochi, vale a dire dell’inventore del telefono e della costumista del teatro La Pergola di Firenze che Antonio Meucci sposò il 7 agosto 1834. Carlo in America rischiava d’essere rapito dalla Mano Nera, e per questo motivo il padre volle affidarlo a una donna calabrese perché lo portasse in Italia.

La serata è stata introdotta dai saluti del Rettore dell’U.T.E. Tanina Caliri e dall’assessore alla cultura Ilenia Torre.

Il primo intervento è stato della professoressa Caterina Isgrò, docente all’U.T.E. del corso su personaggi e le tradizioni della città, dove si era già occupata del caso Meucci. Prima di iniziare a parlare di Meucci, ha voluto ricordare la figura del concittadino Sebastiano Cambria, illustre neurochirurgo scomparso recentemente in Brasile.

Carlo Meucci, ha affermato, ci ha lasciato un ricordo indelebile. Suo padre, che di lavoro faceva il sarto e girava i mercati della provincia, lo aveva trovato su un marciapiede a S. Agata Militello, lo aveva rifocillato  e iniziato una amicizia che lo portò qui a Barcellona, dove spesso era suo ospite a pranzo. “Era gentile, affabile con i bambini, che passavano lunghe serate ad ascoltarlo Non era analfabeta, come si legge in alcuni testi su di lui, parlava bene. Mio padre, ha proseguito, interessò Emilio Isgrò, che allora lavorava al Gazzettino di Venezia, per scrivere un articolo. Fu pubblicato ma in questo momento non si riesce a rintracciare, perché la sede è stata allagata più volte con dispersione del materiale”.

Anche altri giornalisti si occuparono di questa vicenda, come Melo Freni e soprattutto Giuseppe Quatriglio, grande giornalista del Giornale di Sicilia, recentemente scomparso al 95 anni, che lo intervistò, e di cui esiste anche la registrazione audio. Caterina Isgrò ha anche mostrato un eccezionale documento fotografico: la foto del sarto Felice Naselli, che fu molto noto in città per il suo impegno nell’Oratorio Salesiano, assieme a Carlo Meucci.

Il professore Antonino Caccetta, docente di Economia ed Estimo all’Università di Reggio Calabria, studioso di agraria, originario di Raccuja, ha raccontato di essere rimasto appassionato dalla lettura del libro di Mòllica, e nel suo intervento si è soffermato sull’umiltà e la dignità  di Carlo Meucci, che venne a trovarsi in una situazione particolare senza poter avere diritto ad una pensione. La sua vicenda presenta tanti spunti di riflessione sulle problematiche di oggi.

Gli interventi sono stati intercalati dalla lettura di una poesia sull’emigrazione del XIX secolo, curata dalla professoressa Rosalia Lanza.

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Infine l’intervento di Mimmo Mòllica, il quale ha sottolineato le problematiche che ci lascia la vicenda di Carlo Meucci, quali l’esistenza in vita e l’identità incerta, nonostante le certificazioni degli uffici anagrafici dei comuni siciliani in cui visse. Ha ripercorso la sua vita, da quando fu mandato in Italia a quando stabilì la sua residenza in Sicilia, tra Mazara del Vallo, Marsala, Barcellona Pozzo di Gotto (dove, secondo i documenti dell’anagrafe, abitò in via Risorgimento n. 57 dal 27 settembre 1941 al 3 giugno 1942), Sant’Agata Militello e Tindari. Proprio in quest’ultimo luogo, dove era già stato nelle sue peregrinazioni di ambulante, si mise a sedere sulla scalinata del Santuario della Madonna Nera, tra gente semplice e accogliente, gente che non aveva forse mai sentito parlare di Antonio Meucci e dell’invenzione rubata, quella del telefono. A Tindari, Carlo Meucci sentì d’essere arrivato. Costruì alla meglio una baracca di legno e lamiere e sopra, con pennello e vernice scrisse “Al piccolo bazar di Carlo”.

Ha mostrato la foto del loculo del cimitero di Patti dove Carlo è sepolto, il ritrovamento della lapide che staccandosi dal loculo è caduta a terra spezzandosi, e infine il ritrovamento anche della foto cimiteriale, grazie alla collaborazione di persone che si sono impegnate nella ricerca, segno di un rinnovato interesse e solidarietà nei confronti di questo sfortunato personaggio.

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