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Sciare a Gambarie - anni '50

- di Marco Giuffrida -

Da qualche settimana, qui al Nord come forse un po’ dappertutto, è cominciata la frenesia dello sci, dello sciare, della Montagna, delle settimane bianche, dei soggiorni montani e così via discorrendo.

A dire il vero, già ci è scappata qualche vittima dell’imprudenza, dell’ignoranza e della non conoscenza della severità dell’ambiente e qui in città, dopo quasi due mesi di pioggia, abbiamo già avuto il primo assaggio di neve con gli immaginabili disagi per l’incauto comportamento di molti autisti.

Ma non è di questo che intendo scrivere. Desidero narrare di ciò che nell’immediato dopoguerra ci si poteva qualche volta permettere e che aveva il sapore della favola.

Nella seconda metà degli Anni ’50, fame e paure cominciarono a concedere un po’ di tregua lasciando spazio alla speranza e, soprattutto, alla voglia di vivere. Certo tutto nei limiti del possibile e delle disponibilità. E, quando in Famiglia vi era un po’ di “spazio”, affidato al cugino più “vecchio”, qualche inverno, mi venne concessa l’escursione di una giornata sulla neve.

Le mete da Messina raggiungibili erano due: l’Etna e Gambarie, nell’Aspromonte Calabrese.

Fatto il conto, più facile e meno costoso era andare a Gambarie: traversata in Traghetto seguita da una trentina di chilometri di corriera per arrivare da Reggio Calabria a questa località montana.

Baldi giovanotti degli ultimi anni delle Scuole Superiori o Universitari, si davano un gran daffare per prenotare qualche corriera a noleggio, poi con il passaparola reclutavano i partecipanti per coprire le spese e per guadagnare qualche lira che, nelle tasche, non avrebbero certo fatto male.

Io, al seguito del cugino di cinque anni più vecchio, organizzatore di simili gite, una volta, con appunto il benestare dei miei genitori, fui “aggregato”. Fra le prime cose bisognava sistemare l’attrezzatura e abbigliamento che, visti con gli occhi di adesso, dovevo apparire una via di mezzo fra il figlio del rigattiere ed un piccolo barbone.

Un cappello lavorato a maglia dalla nonna con vecchia lana recuperata, così come per il maglione messo sotto una camicia di mio fratello, perché un po’ più pesante e grande delle mie. Sopra a tutto una strana giacca di tela spessa e che, un tempo, forse era stata impermeabile. I calzettoni, importantissimi, fatti con lana grezza, quella biancastra e ruvida, alti al ginocchio e sopra un altro paio di calzettoni più bassi perché gli scarponi, avuti in prestito, non ballassero troppo ai miei piedi.

Gli scarponi li ricordo perfettamente che potrei perfino disegnarli: neri, in cuoio, la punta squadrata, la doppia allacciatura e delle cinghie con fibbie per stringerli, alti, attorno alla caviglia e, immancabili, le suole “Vibram”!

Non avevo sci, io, ma, Donatello, un Amico più vecchio di me, mi prestò volentieri uno slittino che lui stesso si è costruito.

Certo non avevo soldi per comprare qualcosa per il pranzo e la merenda. Se ne erano già spesi troppi per la corriera ed il biglietto del traghetto.

Partii da casa “fornito” di un paio di panini bene avvolti nella carta oleata e, ancora, per sicurezza, nella “carta paglia”: uno con la frittata e un altro con un formaggino spalmato. Da bere, acqua messa in una vecchia borraccia militare, come militare era lo zainetto sdrucito dove avevo riposto tutto.

La partenza fu al mattino molto presto che era ancora buio fitto. Camminare per le strade faceva un po’ impressione e si udiva il rimbombo dei passi nelle strade.

Finalmente ecco il Traghetto e, poco dopo, il via per una traversata senza storia: le poche luci di Messina che si allontanavano e quelle di Reggio che, pian piano, delineavano il contorno della città.

Uno sbarco frettoloso direttamente dal ponte di “imbarco” dei treni e di corsa, chi con gli sci, chi con lo slittino, chi senza nulla, verso le corriere in attesa.

Poco si può dire del viaggio sia di andata che di ritorno, per il buio al mattino e per quello del pomeriggio. La “Luce” era da spendere e vivere a Gambarie, sulla neve.

Era tutto bianco attorno già nel piazzale dove il nostro mezzo ci scaricò. Si, avevo visto e toccato la neve a Messina. Una cosa rara!

Una specie di tormenta con un incredibile turbinio di fiocchi bianchi fino a formare uno strato sottilissimo, durato solo il tempo di un battere di ciglia. Neppure il tempo di giocarci. Dopo vi furono diversi giorni gelidi per rabbrividire e tentare di coprirsi con i pochi indumenti caldi di cui si disponeva.

Che meraviglia quella mattina lì a Gambarie, quell’unica pista tagliata fra gli alberi, già frequentata da sciatori che salivano aiutati da un rudimentale skilift ed altri che scendevano con gli stili più diversi. La neve battuta sembrava fatta di marmo.

Certo, con lo slittino non potevo usare quegli spazi riservati agli sciatori e, nel mio cuore di quattordicenne, sperai nella bontà di qualcuno dei conoscenti disposti a prestarmi i suoi “legni”.

E all’ora del pranzo, un paio, per qualche minuto potei provarli. Fuori dalla pista dove la neve era un po’ più alta e non gelata, feci qualche discesa risalendo a piedi quelle poche decine di metri che erano libere da vegetazione. Era bello sentire l’aria fredda sul viso ed il rumore degli sci che correvano dentro i solchi già tracciati. Notai un certo parallelo fra il navigare e lo sciare.

Che fatica risalire a piedi e con gli sci in spalla. Altro non mi era concesso anche perché non avrei saputo come fare, non avendo esperienza e, soprattutto, non avendo neppure una lire da spendere per la risalita. Questione di una mezzoretta poi dovetti riprendere il mio slittino e continuare a salire a piedi e scendere con quel “mezzo”. Al rientro ero letteralmente finito e, cosa mai accaduta, con una grossa vescica in ogni calcagno.

Fu, comunque giornata bella tanto da essermi restata impressa.

Ultima modifica il Lunedì, 10 Ottobre 2016 07:46
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