La falce eviratrice cadendo dal cielo sulla terra, secondo la mitologia, dà luogo allo straordinario porto di Messina. Origine fatale le cui conseguenze segnano la storia della città e del suo porto. Cronos, dio del tempo infinito, usurpa il potere al proprio padre Urano evirandolo e, temendo che altrettanto possano fare a loro volta i figli da lui generati, non esita ad eliminarli divorandoli.
Destino altrettanto crudele pare sia riservato alla città nata attorno alla falce parricida, città creata da Cronos e da questo, di tempo in tempo, fagocitata per sempre rinascere contro l'ineluttabile primordiale vaticinio. Ogni tipo di avversità nella sua storia plurimillenaria si è abbattuto sull'abitato attorno al porto falcato, la cieca falce ha mietuto quanto vedeva ma, ciò malgrado, la vita è tornata ognora a rifiorire.
Paradossalmente il mito delle origini ripetuto nell'arco dei secoli, quasi come un ritmo ancestrale, incalzante, pare voglia segnare la vita della città dello Stretto. Luogo del paradosso, sede privilegiata della leggenda di Scilla e Cariddi, in un territorio segnato dalla presenza di Vulcano, Eolo, dei Ciclopi e dei Giganti come Orione, altro ecista della nostra città, che con grossi blocchi consolida la falce che difende il cerchio d'acqua del riparo ai naviganti. Cronos, Orione, entrambi collegati alla nascita del porto.
Zanclon la falce, Zanclo altro fondatore di quella che, con la venuta dei greci dalla Calcide, diviene la città di Zancle. Una narrazione complessa quella delle origini, una narrazione che risale alla preistoria, prima che Omero rendesse famose le nostre perigliose acque abitate da fascinose femmine anch'esse divoratrici di uomini come Cronos.
In verità, tale mito fondante trova un reale riscontro nell'analisi che il geologo oggi conduce alla ricerca delle origini di questo molto particolare sito della riva occidentale dello Stretto. Dalle foci dell'Alcantara, al limite meridionale della catena peloritana, sino a giungere alla spiaggia del Faro, la costa jonica non presenta la possibilità di riparo se non a ridosso dei Capi di Taormina, S. Alessio, Alì e Scaletta, sia pure in condizioni di evidente precarietà.
II porto di Messina di contro offre e soprattutto offriva in passato un riparo sicuro al navigante, che ancor più apprezzava i vantaggi del nostro scalo se si ricorda la particolarità delle acque dello Stretto, temute sin dal tempo degli argonauti. Un porto naturale ampio e protetto dai venti di traversia, un vero dono della natura a quanti solcavano queste acque perigliose provenendo da ogni parte del Mediterraneo. Da ciò la fortuna e la fama del porto falcato che per le sue specificità sembrava opera primordiale di un dio, poi ancor meglio sistemato da un gigante come Orione. Ancora nel XVIII secolo veniva reputato il porto più ampio, più agevole e più sicuro dell'intero mar Mediterraneo. A tanta fama certo concorreva l'architettura dei palazzi che a schiera ne cingevano la porzione sud occidentale.
Era quello il "Teatro marittimo" che, con unico disegno ed in pietra bianca, accoglieva i viaggiatori al loro giungere a Messina. Tralasciando il pur fascinoso mito della fondazione ed esaminando i dati stratigrafici raccolti negli scavi che in tempi recenti hanno indagato il sottosuolo del centro storico della città, si hanno oggi gli elementi che consentono la ricostruzione dei modi e dei tempi in cui si è formato questo tratto di costa. Nella parte settentrionale dei Monti Peloritani, là dove questi si contrappongono al massiccio aspromontano lasciando in mezzo la via d'acqua che costituisce lo Stretto di Messina, la base delle colline che declinano verso Capo Peloro si allarga in una pianura, la più vasta di questo versante della catena.
A partire da sud, da Capo Scaletta, proprio là dove inizia oggi il territorio metropolitano, la fascia costiera si allarga progressivamente, insinuandosi nelle brevi valli che, quasi con ritmo cadenzato, ne caratterizzano l'andamento morfologico. II massimo dell'ampiezza, pur sempre relativa, si raggiunge nella pianura a sud del porto, tra il torrente Gazzi e la foce del Camaro. Questi due corsi d'acqua possono in un certo senso considerarsi gli artefici di quel cerchio d'acqua che ancor oggi offrono tranquillo riparo a chi va per mare. Qui, nel corso del tempo, sono giunti con le continue alluvioni quei materi2 su cui poggia l'abitato peloritano e qui braccio di terra ritenuto opera di Cronos o Saturno. Qui la stratigrafia restituisce le fa di formazione in un susseguirsi di livelli di sabbia, ghiaia o ciottoli che negli ultimi quattromila anni si sono accumulati sino raggiungere spessori che normalmente aggirano attorno ai dieci metri.
All'apporto cospicuo e costante di torrenti si è accompagnata l'azione delle correnti marine che con la nota energia hanno distribuito questi materiali alluvionali lungo la fascia costiera anche in funzione dei movimenti contrapposti di "montante" e ""scendente". Ancor oggi cadenzato secondo ritmi consolidati, proprio all'esterno della falce del porto si forma il cosiddetto "Garoffalo", evidente nell'incresparsi della superficie del mare in conseguenza del gioco delle correnti. Probabilmente, dove oggi si inarca il "braccio di S. Raineri", vi erano degli scogli costituiti dal substrato della struttura micascistica dei Peloritani che qui riaffiorava.
Grazie pure alla presenza di acque di falda che favorivano l'aggregazione di sabbie e ghiaie si è giunti alla formazione di spesse bancate di "puddinghe" già utilizzate per cavarne pietre da macina o materiale da costruzione, ma che hanno costituito la base attorno alla quale si è andata consolidando la falce. Quindi una formazione relativamente recente quella del porto di Messina che va collegata alle caratteristiche ed alle dinamiche del territorio circostante come pure ai particolari fenomeni meteomarini peculiari dell'area dello Stretto.
Esemplificando si può affermare che gli abbondanti materiali alluvionali trasportati a valle dai torrenti a sud dell'attuale porto venivano poi distribuiti in direzione nord dall'azione del mare, sino a giungere, nel corso di un'azione durata millenni, a ciò che oggi vediamo e cioè un braccio di terra che staccandosi dalla pianura cinge un ampio cerchio d'acqua, lasciando un comodo varco a nord-ovest. Di questo porto naturale posto quasi al termine della riva nord orientale dell'Isola (Lat. N. 38° 11'32" e Longit. G.W. 15° 34'34' ) sono di circa 80 ettari di acque interne al braccio di terra che si conclude con il Forte del SS. Salvatore cui segue l'ingresso di circa 400 metri di ampiezza.
Tale apertura lo rende marginalmente esposto ai venti del I quadrante di greco e levante. I terreni del Braccio di S. Raineri, esclusi quelli di pertinenza della Marina Militare, assommano a circa 320.000 mq.. La marea si alza in media 20 cm. ma nelle sigizie raggiungono anche i 70 cm. d'altezza, tale fenomeno si manifesta in occasione del plenilunio e del novilunio, solitamente attorno al mezzogiorno.
Dal libro "Il Porto di Messina dagli argomenti ai croceristi" di Franz Riccobono edito da Skriba
Si ringrazia Franz Riccobono e l’editore per l’autorizzazione