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- di Cosimo Inferrera -

Il tema del partenariato euro-mediterraneo con la delineata analisi della situazione politico-economica, in possibile sviluppo, è uno dei punti prospettici del gruppo “Non solo Ponte”, ispirato da Michele Comparetto, architetto in Torino, insieme ad altri benpensanti.

Conflitti in atto permettendo, gli analisti possono desumere come nella futura Zona di Libero Scambio Euro-Mediterranea (allargata rispetto a quanto previsto dallo stesso Processo di Barcellona del 1995 anche ai Paesi Arabi,già riuniti da febbraio I994 nella Zona di Libero Scambio Araba) sia in corso di gestazione la più grande concentrazione di interscambi commerciali del pianeta, stimabile in migliaia di miliardi di euro, destinata a superare il 50% del commercio mondiale !

Lungi da me posizioni velleitarie e saccenti: non potrei. Dopo avere sezionato corpi umani, esaminato migliaia di casi istopatologici e citopatologici, ho imparato almeno a dubitare, ma con profitto; insieme con i pazienti, infatti, le mie diagnosi sono passate al vaglio dei clinici italiani ed anche di molti stranieri, non ricevendo smentite. Dunque mediante una sorta di dissezione anatomica dei vari piani politici e socio-economici della questione, ecco la mia <epicrisi>, cioè il referto diagnostico conclusivo.

Milano con la sua Convention annuale sul Mediterraneo confermi, indirizzi, sostenga, potenzi la ormai irrinunciabile polarizzazione dell’Italia verso sud e divenga la vera capitale del Mare Nostrum, un’idea e un ruolo che, neanche per un attimo, penso di poter attribuire alla mia Sicilia, quale affascinante riflessione e vitale prospettiva per una nuova frontiera.

Volendo far camminare l’idea con spirito di concretezza proporrei (a loro insaputa) i nomi di tre illustri personaggi da riunire in un Comitato, che offra una fattiva collaborazione al Signor Ministro degli Esteri.

In tema di <politica delle alleanze> vedrei benissimo l’Ambasciatore a. r. Francesco Paolo Fulci - uno dei valori assoluti di Messina, accantonato con faciloneria dalla città – che è stato intelligente, abile propugnatore di un’unica cordata di paesi grandi e piccoli, da Lui aggregati contro la pena di morte in una memorabile campagna condotta all’O.N.U. in nome dell’Italia, che ha fatto segnare enormi passi avanti al processo di moratoria di un atto esecrabile, semplicemente indegno di un paese civile.

In tema di <processi macroeconomici> non ci sarebbe di meglio del Professor Giacomo Borruso, già Magnifico Rettore della Università degli Studi di Trieste, antesignano sostenitore di scelte strategiche intorno ad un megaporto da realizzare sulla costa meridionale della Sicilia in vista dell’enorme traffico dei porta container e della concorrenza, che dovrebbe essere fortissima nei prossimi anni nell’area sud del Mediterraneo. 

Nelle vesti di illuminato negoziatore sognerei di accostare ai miei due Amici, nel buio della guerra, la personalità luminosa di Tarak Ben Ammar,nipote di Bourguiba, il primo presidente della Tunisia indipendente. Ottimo conoscitore della lingua italiana, che parla fluentemente, egli è celebre per le avventure mediatiche e per i film artistici, soprattutto quando sono legati alla cultura del Mediterraneo. Fra i suoi lavori vi è l'adattamento cinematografico de La Traviata ad opera di Franco Zeffirelli. Divenne noto in Francia all'inizio del 2004, quando decise di distribuire il film di Mel Gibson La Passione di Cristo, nonostante le polemiche che lo accompagnavano, arrivando a partecipare ad un talk show per difendere la pellicola. I suoi interessi si spingono anche oltre il mondo del cinema: è infatti consulente del principe saudita Al-Walid bin Talal e dell'imprenditore francese Vincent Bolloré; in Italia fa parte del consiglio d’amministrazione di Mediobanca ed è il proprietario del canale televisivo Sportitalia. Insomma Tarak, tunisino di nascita, amico sincero dell’Italia, naturalizzato francese, è il personaggio chiave per cercare di penetrare nei retro pensieri e nello scrigno degli interessi dei francesi, senza di cui non ci sarà più pace in Nord Africa.  

In sintesi un terzetto fantastico. Fulci, il massimo per il prestigio e la tutela degli interessi italiani con Messina in primo piano, una volta capitale della Sicilia, oggi zerbino del traffico gommato nazionale ed internazionale; Borruso, l’apice della professionalità per lo sviluppo di valori, vantaggi, guadagni italiani con la Sicilia in primo piano; Ben Ammar, non solo per Italia e Francia, ma soprattutto per Africa e Medio Oriente un taumaturgo di ritorno per restituire a quei popoli la speranza ed il bene, sparsi a larghe mani nelle nostre contrade da una santo di colore, quel San Filippo Siriaco che annualmente Calatabiano e Limina onorano fra migliaia e migliaia di fedeli festanti. Se mi sono spinto a tanto, facendo nomi e cognomi, è perché credo profondamente nelle loro qualità personali in vista della auspicabile conduzione della <politica delle alleanze> da parte dell’Italia.

Ancora riprendendo il comunicato del Cnel dello scorso giugno, la considerazione finale - rispetto alle prevedibili conseguenze che avrà l’Area di Libero Scambio sui processi d’integrazione, soprattutto sulla base dei trattati tra Unione Europea e Stati Arabi- è proprio quella di trovare un accordo per favorire la cooperazione prima tra gli stessi Stati Arabi e poi con l’Europa.

Affinché la cosa stia realmente in piedi c’è però assoluto bisogno di beni inestimabili, quali <pace e lavoro>. L’Italia e la Sicilia in particolare già poggiano i piedi su questo futuribile Eldorado, senza rendersene conto. L’unico ad averlo capito è il nostro grande amico Sarko, sin dal momento del suo insediamento nella carica di Presidente della Repubblica di Francia, il quale - certamente sotto l’estasi della fascinosa Carlà - primo fra tutti gli europei intuisce la cosa e preconizza la proiezione degli interessi del suo paese verso il Mediterraneo. Cosa che sta avvenendo - bisogna dargliene atto ! - però in una forma tanto violenta quanto disastrosa, forse l’ultimo “vantaggio” da saper ancora sfruttare …

Punto primo: dobbiamo trovare un accordo globale con i francesi, i quali non solo hanno una chiara visione, ma godono di profonde inferenze nell’area, come e più di noi.

Punto secondo: a) attraverso <la politica delle alleanze> (ecco il Comitato di cui prima) dobbiamo rivitalizzare gli strumenti di cooperazione pacifica tra i popoli (Area di Libero Scambio Euro-Mediterranea); b)con massicci impegni economici dobbiamo predisporre a sud della nostra isola megastrutture idonee a raccogliere i frutti di sforzi tutt’altro che bellici (grande porto per container, superzona franca …).

Dunque meno bombe, più risorse … e così ritorniamo alle perplessità del lettore. Un patologo seziona corpi umani, diagnostica malattie al microscopio e poi si mischia al dramma della guerra, mettendoci di mezzo anche i problemi del Ponte di Messina ! Però ora il pensiero è compiuto e potrebbe far riflettere.

Da quanto sopradetto in quell’area sud del Mediterraneo è prevedibile una grandissima opportunità di interscambio, non solo economico ma anche sociale, culturale e umano tra popoli e nazioni. Per una fondata prospettiva di rinascita noi meridionali abbiamo assoluto bisogno di simili trame di umanità e ricchezza, perché proprio dalla sponda sud della Sicilia dovrebbe dipartirsi la rete viaria e ferroviaria che, infittendosi sempre più, troverà– se la troverà ! ? -nella megastruttura del Ponte lo snodo decisivo e rapido di smistamento verso Nord.

Ci sarà guerra e distruzione ? Il corridoio Berlino-Palermo attraverso il Ponte si dovrà arrestare necessariamente in Sicilia, collegando due regioni lontane dello stesso continente, forse validando ex post i parametri de <l’anatomia di una diseconomia>, stima previsionale negativa sulla megastruttura elaborata da Guido Signorino dell’Ateneo messinese.

Se invece nel crogiolo si svilupperanno fecondità di iniziative e rapporti benefici – come buon senso e ragione prima o poi indurranno a fare - il Ponte si potrà legare in termini biunivoci ai destini del continente africano. In questa prospettiva di pace la megastruttura dovrebbe subire sin da ora la riconfigurazione morfo-funzionale di Ponte <Territorio>, non limitata cioè a quella di struttura di solo <Transito> (Josè Gambino, Università degli Studi di Messina) come erroneamente prevede il progetto attuale in via di approvazione.

Un patologo vuole appunto contribuire alla problematica con un suo assunto metaforico, assimilando l’aorta - il più grosso vaso arterioso dell’organismo umano - ad un gigantesco ponte di transito da cui originano i rami di irrorazione per i diversi organi. Questa meraviglia della natura, per funzionare validamente una intera vita, non può e non deve badare solo al transito, ma è obbligata anzitutto a pensare a se stessa ed al territorio immediatamente circostante, cioè deve nutrire la sua parete, che consta di tre tuniche. Mentre l’intima – la più interna – è nutrita direttamente dal sangue che l’attraversa ogni istante, la tunica media di natura elastica e l’avventizia di natura fibro-reticolare con la benderella adiposa periavventiziale, la più esterna, sono nutrite da un delicato sistema di  arteriole (vasa vasorum), che provvedono alle necessità metaboliche di ossigeno e nutrienti, assicurandone le funzioni vitali di elasticità e contenzione pressoria.

I soloni che calcolano di ingegneria … progettano di architettura … studiano di scienze umane … devono sapere quello che incombeva sui poveri sifilitici, allorché i vasa vasorum, ostruiti dai granulomi luetici, mandavano in necrosi, cioè distruggevano, la parete elastica ed avventiziale dell’aorta, formando aneurismi globosi che, dopo aver eroso lo sterno, liquidavano quel cristiano. Parabola significa: che il Ponte di Messina non faccia la stessa fine dell’aorta in corso di sifilide, perché la megastruttura non riesce a intervenire, coordinare, amplificare ben oltre il semplice impatto turistico, i processi di ricchezza che l’attraversano.

                         Cosimo Inferrera

              nucleo strategico “Non solo Ponte”

 

 di Cosimo Inferrera - 

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Poiché “non è la nostra guerra” (vedi <Gli speciali>) nessuna azione in profondità dovrebbe essere effettuata sulla Libia. Nel contempo è giusto assicurare agli alleati la disponibilità delle basi aeree ed il pieno supporto dei Tornado nella configurazione ecr per la soppressione radar e la ricognizione elettronica. Ma soprattutto dobbiamo offrire il massimo sostegno al Consiglio nazionale transitorio libico attraverso l’invio di nostri istruttori e sistemi d’arma, i più avanzati, per la difesa dei centri di resistenza finora sopravvissuti.

Di fronte al massiccio impegno degli alleati, la prudente posizione italiana può sembrare dettata da egoismo più che da lungimiranza politica. E’ infatti innegabile che sin dall’inizio delle attività belliche abbiamo assistito ad una polluzione di missili e di bombe con la solita regia americana. Solo nella prima notte di attacco il Pentagono ha lanciato sugli obbiettivi tattici in Libia 110 missili Cruise Tomahawk, costati circa 533mila euro l’uno, mentre il conto delle bombe è già a 58,6 milioni di euro. Andando di questo passo il costo complessivo dell'operazione Odyssey Dawn è ancora impossibile da calcolare; e con quali risultati ? I nostri potenti alleati si sono finora distinti per scarso tempismo, imprevidenza, disarmonia operativa ed inefficienza. Ghedaffi ha ripreso gran parte del territorio libico e continua i massacri sulla popolazione inerme; i rivoluzionari rischiano di essere buttati a mare, mentre i morti sono a migliaia; solo attorno a Misurata se necontano 1000 con 3000 feriti.

Una vera e propria Caporetto per i volenterosi, se si confrontano gli obiettivi della risoluzione ONU mirati a proteggere la popolazione civile, il che evidentemente non avviene.Né va sottaciuto come questa mortifera decisione - legittimando l’Odissea di guerra - appaia doppiamente fallimentare alla luce dell’altra Odissea, quella umanitaria innescata dai flussi migratori.

In sostanza diciamo NO alle decisioni molto discutibili delle società opulente, che comportano l’irridente sperpero di risorse a fronte di sofferenze indicibili, dolori disumani e morti.Si aggiunga che per i trascorsi coloniali in Libia all’Italia non è consentito di contare un solo morto nella tragica Odissea bellica. Ma con la guerra in fase di stallo e con un Ghedaffi che tutto vuole tranne che andarsene: cosa fare ?

In medicina quando la malattia appare incurabile si mira a raffreddare i sintomi, circoscrivendone gli effetti patologici. L’unico dato certo è la necessità assoluta di mantenere gli attuali territori con tutti gli sforzi possibili, compresi i bombardamenti mirati su obiettivi specifici, come pare sia deciso in queste ore.

Tuttavia per non tenere acceso un pericoloso conflitto alle porte di casa, l’unica uscita conveniente resta la soluzione diplomatica, oggi più complicata rispetto all’inizio delle ostilità per l’andamento sfavorevole degli eventi, da un lato, e per il soggetto con cui trattare, in preda a crisi paranoide, dall’altro. 

Un possibile escamotage in questo senso potrebbe essere quello di attribuire ai territori lo status di Città libera, almeno transitoriamente. In Italia vantiamo uno straordinario modello d’indipendenza con intensa attività internazionale come lo Stato Città di San Marino, prima Repubblica d’Europa fondata nel 301 d. C.. Tutti i principali organismi mondiali gli riconoscono un indiscusso primato sui temi della pace, della libertà e dei diritti universali dell'uomo. I propri ordinamenti giuridici ed istituzionali sono a  sostegno della forma di governo più diffusa nel mondo: la democrazia.

Giova a tal fine la presenza stabile del nucleo umanitario di interposizione,allocato al confine Libia/Tunisia, accompagnandolo con Nave Ospedale, bianca e con la Croce Rossa, sulla scia di quelle tanto meritorie impiegate nella seconda guerra mondiale. A bordo attrezzature d’avanguardia, personale sanitario civile e militare con compiti integrati, compresa l’osservazione dei movimenti sulla costa africana. Un secondo nucleo umanitario dovrebbe operare anche al confine Egitto/Libia, mentre nelle acque antistanti la Libia con compiti dissuasivi dovrebbe trovarsi una consistente forza di intervento rapido per la protezione dei nostri uomini. Nel suo complesso questo sarebbe un eccellente modello filantropico da mettere di fronte ai criticoni dell’Italia, i musoni interni ed internazionali.

Però occorre il pensiero lungo dettato dalla cessazione immediata della guerra, per la quale auspicherei che l’Italia si batta, chiamando a raccolta i paesi meno potenti dell’area. Ci vuolela fondazione operativa di una “politica delle alleanze” con i paesi magrebini in particolare, con quelli africani in generale, su tutti i campi delle attività umane.

A tal fine - prescindendo dalle imprevedibili evoluzioni del conflitto oggi in atto in Nord Africa - è utile citare il comunicato stampa del CNEL del 22 giugno 2010 con oggetto: Superare criticità area libero scambio euro-mediterranea.

<Si è svolto questa mattina presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro il convegno “Mediterraneo, zona di libero scambio”. Il Cnel ha deciso di affrontare questo argomento perché il 2010 è l’anno dell’area euro-mediterranea di libero scambio, affrontato non senza criticità. Quest’anno, infatti, doveva essere la data limite fissata dal processo di Barcellona per concludere il capitolo economico e finanziario iniziato con la dichiarazione di Barcellona del 1995. Ma questo processo non esiste più, sostituito dall’Unione per il Mediterraneo, che a sua volta conosce un momento di stasi. Il completamento dell’Area di libero scambio è rinviato di un anno, se non, più probabilmente, di un periodo ancora indefinito. Per questo motivo il Cnel ha ritenuto necessaria una riflessione riguardo al paradosso mediterraneo, in considerazione della crescita considerevole di alcuni paesi terzi dell’area. La considerazione finale, rispetto alle prevedibili conseguenze che avrà l’area di libero scambio sui processi d’integrazione, soprattutto sulla base dei trattati tra Unione europea e stati arabi, è proprio quella di trovare un accordo per favorire la cooperazione tra gli stessi stati arabi e poi con l’Europa. L’accordo di Agadir potrebbe consentire la creazione di un’area di libero scambio estesa all’Europa, ai paesi mediterranei, ma anche ai paesi arabi membri dell’area panaraba. Passo necessario per relazionare il differente spessore dell’animus cooperandi che si manifesta in Europa e nel mondo arabo.>

Questo è il vero unico sostanziale obiettivo che l’Italia dovrebbe prefiggersi in Nord Africa mediante le risorse ricavate da una ottimale riduzione dell’impegno militare in altre aree del mondo.

                                                  Cosimo Inferrera     nucleo strategico “Non solo Ponte”

 

 

- di Cosimo Inferrera -

 

Ohibò, esclama qualche lettore ! Non gli basta mischiarsi ai problemi del Ponte, ora mette in mezzo anche la guerra. Ed infatti può apparire bislacco sezionare corpi umani, diagnosticare malattie al microscopio e poi spingersi a tanto, pubblicamente. Però fra qualche puntata, il pensiero compiuto potrebbe far riflettere.       

Con la Libia non è la nostra guerra. Non ci conviene per gli interessi vitali che abbiamo nell’area e perché gli “alleati” ci trattano a pesci in faccia, mentre fruiscono della nostra vicinanza geografica con quel paese, unico privilegio che non possono toglierci e di cui finora non abbiamo saputo rivalerci.

Non è la nostra guerra questa. Se l’invasione dei disperati continua subdola, imprevedibile, imprendibile come l’acqua attraverso cui si sviluppa … Se continua come continuerà, alimentata da un serbatoio umano di centinaia di milioni di persone diseredate … Se la Francia blocca i confini ed altri paesi sono in procinto di fare lo stesso … Se l’Europa burocratica nicchia e ci snobba perché i popoli nord-europei se ne infischiano e non vogliono saperne. Se, se, se, tutti eventi ipotetici, ma allo stesso tempo molto  minacciosi e possibili.

Non è questa la nostra guerra, una guerra fatta così. La perdiamo di sicuro: di bombe, in una notte, “gli alleati” ne sganciano quanto noi possiamo in dieci anni. I franco-britannici, con gli americani di conserva, prima o poi finiscono col mettere le mani sul mercato libico, fino a ieri nostro. In più se la guerra perdura, come pare probabile – dato che nessun territorio si conquista soltanto con il dominio dei cieli – noi di bombe non possiamo certo fare uso nell’altro scontro, indotto dai belligeranti, per noi ineluttabile contro i disperatiche continuano ad infiltrarci come un cancro. Né pare un mistero che con le sole bombe – impiegate sterilmente senza un avanzamento netto, rapido, risolutivo sul terreno - si attizzi solo odio da parte dei libici e dell’intero mondo arabo, tanto più se le ostilità si cronicizzano. 

Dunque non è la nostra guerra, e non lo dico da pacifista utopico. Siamo spinti all’angolo dalla protervia dei mai domi vincitori della seconda guerra mondiale, mentre noi rischiamo realmente di essere devastati dai contraccolpi della guerra odierna, che costano e costano tanto, e costeranno sempre più.

A seguito delle forti critiche riservate alla visita di Ghedaffi – amplificate dai media interni ed esteri - i c. d. “alleati” devono avere giudicato pericoloso il nostro disegno di politica neocoloniale, condotta sulle fonti energetiche, ed hanno perso la testa. Il Presidente Obama si è piegato alle pretese della Francia e del suo Presidente, che all’inizio del suo mandato – ricordate ? - aveva delineato con la chiarezza tipica dello spirito transalpino il suo progetto di proiezione a sud nel Mediterraneo. Non c’erano state buone scuse finora: finalmente le ha avute.  

Insomma”gli alleati” ci chiedono di partecipare a iniziative dispendiose nel mondo e, nel contempo, ci rendono quasi eunuchi con la macellazione del nostro testicolo energetico a sud ! Dobbiamo onorare la nostra partecipazione alle operazioni belliche in Libia e, nello stesso tempo, ci lasciano soli a fronteggiare una emergenza migratoria, che potrebbe divenire epocale ! E’ in vero sorprendente come azioni del genere, fortemente contraddittorie, non paiano impressionare affatto i neointerventisti nostrani, in altre occasioni pacifisti ad oltranza.  

Oggi la questione si presenta molto grave: il nostro forte debito pubblico, il sopraggiunto incremento dei costi energetici, la disoccupazione, i costi pesanti del welfare … Insomma di necessità dobbiamo fare virtù. Perbacco l’Europa ci può sempre richiamare per l’insano rapporto deficit/PIL, da cui siamo gravati, e noi adoriamo l’Europa, nostra unica sovrana ! Siamo alle strette e non disponiamo di risorse sufficienti per i tanti impegni internazionali, che tuttavia onoriamo.

Occorre sparigliare le carte all’improvviso, come a suo tempo fece Zapatero ritirandosi dall’Irak, dalla sera alla mattina. Dobbiamo farci bene i conti sulle attività militari nel mondo a cui conviene continuare a partecipare ed a quali no. Questo esclusivamente sulla base di fattori finanziari, economici, imprenditoriali, culturali che un certo teatro ci offre rispetto ad un altro in cui le controversie militari si sviluppano. Se intravediamo uno sviluppo sociale (cioè la formazione di nuovi posti di lavoro) utile e vantaggioso per l’Italia, partecipiamo; in caso contrario no. Non c’è più posto per le ipocrite affermazioni di principi, verità e giustizia tra i popoli, inalberate dai nostri potenti alleati e smentite in modo marchiano ogni giorno di più.

Uno Stato serio, fatte le sue analisi, decide il da farsi, pur sgradito che sia, con un secco colpo di reni per ristorare la sua dignità colpita. Indipendentemente da dichiarazioni ed altri ballon d’essai, sparati lì per irretirci … vedrei dunque necessario il nostro sgancio da uno o più teatri di guerra contemporaneamente, laddove non perdiamo affari. Insomma basta Italietta, ma risposte con i fatti, sempre, e mai più lamentazioni !

Anzitutto ci cercheranno, mentre ora ci snobbano perché credono di poter contare definitivamente sull’incerto carattere italico e sulle debolezze interne indotte da quelli che la sanno lunga. E’ sarà questa, forse, la definitiva inversione di tendenza che caratterizzerà una ripresa di autostima per la nuova Italia. Così finalmente spenderemo meno per bombe e avremo maggiori risorse disponibili. Ma per che farne ?

                                                                                  (seconda parte)

                                         Cosimo Inferrera  Nucleo strategico “Non solo Ponte”

 

 

- di Cosimo Inferrera -


Signor Sindaco di Messina,

Sottoscrivere a favore del Ponte di Messina non basta per tacitare i molti interrogativi che ancora fanno ondeggiare la megaopera, forse prematuramente avviata ad inizio lavori.
Perché le trivellazioni in riva al mare eseguite solo ora ? Su cosa hanno ragionato centinaia di tecnici ed istituzioni di tutto il mondo per tenere in piedi l’idea di colossali piloni, che sorreggano una campata di 3300 metri ? Perché le “carote” di terreno, estratte dalle trivelle, descritte giornalmente nei minimi dettagli, con puntualità pedissequa sulla stampa locale ? Ed invece i problemi di mobilità preesistenti al Ponte, interconnessi al Ponte e/o indotti dal Ponte vengono affastellati confusamente in una sola “lenzuolata” di cronaca cittadina (Gazzetta del Sud, 11 novembre 2010) con la benedizione dell’amministratore delegato della società Stretto e presidente dell’Anas ?
C’è voluto un bel coraggio a parlare di “miracolo” proprio sotto i viadotti di “Giostra-Annunziata” e sbottare: “Messina avrà grandi benefici”. Un’enfasi che potevano risparmiarsi vicino a quei cantieri di inefficienza mortifera, risvegliata dall’apprestarsi del fantasmagorico Ponte come alito divino sulla controfigura di Lazzaro. E’ veramente un dono munifico il semplice completamento di questi svincoli, programmati da venti anni ed attesi vanamente ? Può onestamente dirsi questo il motivo del rilancio di Messina ? !
Avvezzo ad esercitare il senso critico attraverso la diagnosi microscopica dei processi patologici, molti dubbi al riguardo li ho espressi in “Oltre il Ponte, cos’altro passerà sulla nostra testa ?”, anteprima di una serie di sette puntate sull’argomento. Dubbi che nessuno ha però mai contestato o voluto chiarire.

Oggi, uno di questi dubbi molto pericoloso - non il solo, visto il contesto generale del progetto fluttuante - è il possibile avvio di enormi sbancamenti, destinati alle discariche illustrate dalla stampa, queste si, con dovizie di particolari (Gazzetta del Sud 3 Settembre 2010), poi lasciando tutto in completo degrado per un … altro ventennio. Troveremo sempre un “quidam” che parli di nuovo miracolo e di nuovi benefici per Messina ! Altri esempi di attesa trentennale, tipo Museo Regionale, sono o non sono un bel viatico per slanci del genere ?  
Dopo la mia lettera aperta del 16 luglio 2010 al Signor Ministro delle Infrastrutture, apparsa alla V^ puntata, l’On. Matteoli non ha più messo piede sulle sponde dello Stretto per avviare il ricco programma già annunciato. Forse il Signor Ministro non sa che, anni fa, dalle colonne del “Corriere del Mezzogiorno” scrissi sul Dipartimento Oncologico Messinese una lettera aperta all’On.le Rosy Bindi, Ministro della Sanità pro tempore, cui seguì il suo agnostico distacco e la visita annullata all’ultimo minuto. Anche a causa di ciò la Città di Messina ed il territorio provinciale hanno perduto l’Istituto di Studio e Cura dei Tumori, realizzato con modello avveniristico dall’ On. Prof. Saverio d’Aquino, quel dipartimento interdisciplinare unitario che altrove (Milano, Aviano, ecc.) non solo è attecchito, ma ha raggiunto i massimi livelli.

Ovvio l’invito a non ripetere l’errore sul caso Ponte di Messina, ove siamo ancor più di fronte ad una piazzaforte ambita, circondata da una marea di appetiti che cercano spazi a tutti livelli. La cosa non deve stupire, perché da che mondo e mondo avviene e sempre avverrà. Purtroppo i moralisti la agitano come una croce sul nostro territorio, povero ed arretrato, non curandosi minimamente del fatto che - se la loro azione ostativa sarà prima o poi superata, come di fatto sta avvenendo – beffa maggiore dell’ipotetico danno si rivelerà l’opera realizzata male, peggio ancora se con finalità distorte.
Tuttavia, carissimo Peppino, conviene abbandonare ogni pessimismo, foriero di immobilismo ! Il sasso nello stagno lo hai lanciato proprio Tu, alcune settimane fa, nel corso della commissione Ponte del consiglio comunale, presieduta da Nicola Barbalace del Pd, riunitasi per fare il punto sulla situazione delle opere compensative del Ponte. Con spirito inedito, misto a provocazione, hai dichiarato: “Il Ponte è un’opera che ha grande rispetto per l’ambiente”, soggiungendo che per le professionalità necessarie “potremmo attingere al mondo dell’ambientalismo”.
Apriti cielo ! Ti hanno prontamente beccato con un “non sapere ancora di cosa si stia parlando” e con un “qualcosa di semplicemente inimmaginabile e inverosimile”. Giusto ! Molto meglio farsi trovare lontani da idee progressiste e collaborative, per poi dover arretrare di fronte alle trivelle che a Torre Faro avanzano in nome della utilità pubblica con i CC alle spalle. Proprio così ! Mentre il Paese affronta i primi passi di un’avventura da brivido, quei cervelli che potrebbero offrire alla comunità contributi qualificati si chiudono a riccio. Questa visione ambientalista - materializzatasi l’altro giorno in ottomila “cittadini” vocianti NO PONTE rispetto a trecentomila “abitanti muti” della Città di Messina con sparuti SI PONTE - prescinde ideologicamente da tutto ciò che comunque avvenga nel mondo.

Il gota dell’ingegneria e dell’architettura mondiale nei mesi scorsi va in massa a Catania per discutere del Ponte di Messina ? L’ottava meraviglia del mondo tra Sicilia e Calabria proclama un no deciso all’aggressione ambientale, bensì un’architettura piacevole che, riqualificando i luoghi, contempli in un disegno armonico la rinascita delle due regioni ? Simonetta Scarane su “Italia oggi” ci fa sapere come il vice presidente dell’Associazione internazionale per i ponti e l’ingegneria strutturale (Iabse) Prof. Enzo Siviero sia riuscito a richiamare a Venezia ben 700 progettisti di “bridge” provenienti da 60 paesi e li abbia coinvolti nella suggestiva ipotesi di “Abitare il Ponte” dello Stretto di Messina come “l’altra Dubai”, una similitudine rimbalzata nella III^ puntata di questo blog ? Il veneto Enzo Siviero, amico innamorato del nostro territorio, è in pieno “remake” della laguna quando si spinge a intravedere uffici, istituti commerciali e finanziari, residence, ristoranti, hotel, sale congressi, ecc., piazzati sui piloni con vista mozzafiato sull’azzurro della neonata Baia di Scilla e Cariddi ? Questo ed altro significano qualcosa per gli amici ambientalisti oppure no?      
Qualcuno mi ricorderà Icaro e la sua caduta rovinosa. Possibile … ! Però, mentre l’opposizione se la ride, il governo ha inserito nel programma dei 5 punti il progetto esecutivo del Ponte dello Stretto e il Dott. Ciucci dal canto suo ha ribadito lo stesso impegno entro fine anno a nome della Società Stretto di Messina.
Dunque l’orbita del pianeta Ponte è ora vicina al suo “perielio”, cioè al punto caldo su tre questioni nodali. Provo ad esporle. 

  1. IL PONTE

Nessuno ancora sa che forma prenderà realmente.

Unico punto fermo: dalla Gazzetta del Sud 3 Settembre 2010 abbiamo finalmente appreso che i quattro piloni saranno posizionati sulla riva.
La campata unica di 3300 metri, che ne rappresenta il corollario strutturale, lascia in piedi l’interpretazione progettuale del Ponte come risorsa, avanzata dal Prof. Enzo Siviero.
Ma non liquida l’altra ipotesi progettuale che lascia adito a valutazioni controverse: il Ponte come tramite. Dopo un’accensione dei processi economici e lavorativi limitati al periodo della sua costruzione, la megastruttura potrebbe alla lunga non essere sostenibile per la discrepanza tra i costi di gestione e i ritorni economici correlati al solo ticket di transito. Questa tipologia si inserisce nella via di comunicazione diretta tra gli oligopoli del Nord e i grossi centri siciliani, che godranno della celerità dei trasporti mentre i territori messinese e calabrese ne soffriranno l’impatto negativo. Rispetto alla realtà odierna - quando ricchezze di ogni tipo passano sul mare e sulle strade di Messina, Reggio Calabria e Villa S. Giovanni – cosa cambierà per queste Città se lo stesso ben di Dio transiterà a 70 metri di altezza ? In più contro Messina è tesa l’insidia dei poteri isolani, che vorrebbero progressivamente asservirsi preziosi beni della sua provincia, quali Taormina da un lato, S. Stefano di Camastra, Capo d’Orlando ed oltre, dall’altro. Il tutto marginalizza Messina sempre di più, una tendenza malefica che fino a qualche mese fa sembrava riguardare anche Reggio Calabria.

Né possiamo immiserire questo Ponte alla funzione di passerella che accolga il bisogno estemporaneo di un cittadino di Reggio C. o di Messina o di Villa S. Giovanni di recarsi nella Città di fronte. Insomma il Ponte nudo e crudo deve trovare un rifiuto netto, irremovibile da parte delle sponde dello Stretto: fatto così non riuscirà a dare un impulso decisivo, diretto ai territori limitrofi, che godranno solo dell’indotto turistico di un’opera straordinaria, vissuta però “ab estrinseco”. 
Nella visione del “Ponte come risorsa” c’è invece l’ultima occasione di rinascita per le Città dello Stretto ed anche per le province che si rispecchiano nel mar Tirreno e nello Ionio, come corpi gemellari. Finora i mezzi di traghettamento lenti e veloci non ne hanno favorito gli scambi interattivi ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti ! Con il suo sviluppo verticale ed orizzontale (Michele Comparetto) il Ponte, divenuto inedito baricentro dell’attività economica, commerciale, lavorativa fra le due sponde, darà vita con i fatti alla “vasta area metropolitana dello Stretto” (VAMS). La trama umana ne beneficerà sicuramente molto, ma non sarà in condizioni di dare impulsi vigorosi al decollo dell’intero sistema, con immediatezza e da sola. Sarebbe illusorio ! Ci vuole ben altro: il Ponte “abitato” - tipo Ponte Vecchio a Firenze o Tower Bridge a Londra – non solo compenserà le spese passive, ma sarà a sua volta fonte di nuova ricchezza intercettando fiumi di capitali e  floridi scambi dal mondo della globalizzazione.

Non è casuale che la Repubblica Cinese e la “China Development Bank”, principale interlocutrice per la realizzazione delle grandi infrastrutture in Sicilia, abbiano manifestato recentemente un forte interesse verso l’area del Ponte. Non si può sottacere l’attenzione di importanti investitori statunitensi, tra cui molti oriundi italiani. E non possiamo omettere in prospettiva la notevole attrazione esercitata da questa particolare tipologia di attraversamento per la creazione di una super zona franca (Michele Comparetto). Un’area privilegiata di libero scambio, localizzata a Trieste, ha determinato nel corso degli anni una svolta molto incisiva sul benessere economico e sociale della Regione Veneto, il cui livello nel periodo postbellico era identico, se non peggiore rispetto a quello della Regione Siciliana. Che sia questa la volta buona affinché Messina ottenga la zona franca, oggetto di dilazioni e ostacoli misteriosi sin dagli anni ’50 ! 

Il Ponte potrà così divenire il “Centro direzionale strategico” di questa parte del Mediterraneo, con un occhio rivolto a Gioia Tauro - snodo per i traffici container con il continente americano e con l’oriente - e con l’altro mirato verso la costa meridionale della Sicilia. Qui un paese serio (Stato e/o Regione) dovrebbe progettare la realizzazione di un grande porto da destinare soprattutto alla movimentazione dei container, un porto in grado di contrastare la concorrenza, che nei prossimi anni diverrà fortissima, dei terminali nord-africani, con riferimento alle grandi correnti del traffico mediterraneo (Giacomo Borruso). Un grande terminale siciliano necessiterebbe di collegamenti stradali e ferroviari, peraltro previsti a livello europeo (il corridoio Berlino-Palermo) e, in questa logica, il Ponte troverebbe la sua piena e compiuta giustificazione economica e sociale (Giacomo Borruso).

Dunque “Non solo Ponte” - slogan del “Ponte abitato” - rappresenta l’idea di un complesso volano per la risoluzione definitiva della questione meridionale (Michele Comparetto).
Caro Sindaco, ecco il vero, il solo miracolo che si richiede al Dott. Ciucci: scegliere la via giusta, quella del “Ponte come risorsa” !

  1. LE OPERE COLLEGATE

Nessuno ancora ha capito ...

perché la loro realizzazione debba essere considerata un “miracolo” per Messina, mentre in realtà esse sono indispensabili a tutti coloro che passano sul Ponte e sulla rete di collegamenti che da questo si diparte ! Per un attimo giriamo la medaglia dal lato dell’utenza: immaginiamo ciò che potrebbe capitare nel caso assurdo della mancata esecuzione di queste stesse opere, cioè degli svincoli, delle bretelle, dei sopra- e sottopassaggi, delle stazioni succursali ferroviarie e/o metroferroviarie. 

1° esempio. Un tizio proveniente da Roma atterra in un’oretta a Reggio Calabria con destinazione Messina, quartiere Papardo. Dato che abbiamo ipotizzato che non si costruisce la stazione “Papardo” della Metropolitana Messinese (tale il nome, ma in realtà è solo la indispensabile bretella tra il Ponte e la rete ferroviaria siciliana), il treno lo dovrà portare in una trentina di minuti direttamente alla nuova stazione centrale di Messina Gazzi, mentre se ci fosse la stazione Messina Papardo per giungere a destinazione ce ne vorrebbero solo la metà. Il tizio è un professore universitario che deve recarsi al più presto alla facoltà di Scienze di Papardo. Per raggiungere in auto il luogo di destinazione - sotto cui prima è passato a bordo del suo treno veloce come un dardo - egli impiegherà altri 30’-40’ minuti, ma se la giornata è di quelle storte potrà consumare, più o meno, lo stesso tempo che gli è stato necessario per venire da Roma. Cosa simile potrebbe accadergli, quando farà il percorso inverso, nel tardo pomeriggio, per l’aereo di ritorno. Dunque un enorme pasticcio per i fruitori del Ponte che, vedendo raddoppiato inutilmente il loro tempo di viaggio come se non ci fosse il Ponte, bollerebbero giustamente la megaopera come una bufala colossale.  

2° episodio. Se lo stesso tizio, da Roma, si dovesse servire della “frecciargento” Trenitalia la sostanza non cambierebbe. In effetti ci sarebbe solo un rapporto diverso tra il tempo impiegato dal mezzo prescelto per raggiungere Messina centrale (5 h.) e il tempo poi sprecato per raggiungere in auto Papardo (30’ - 1 h.) a causa della deficitaria mobilità interna, ancora asservita alla visione del P.R.G. Borzì. Oggi la bella “Città giardino” di un secolo fa, non solo deturpata, è anche priva di sopraelevate e sottopassaggi indispensabili per superare i continui intoppi della struttura a graticcio delle sue strade e dei viali, rimedi di cui godono ampiamente Palermo e Catania.       

3° episodio. In vicende peggiori potrebbe incorrere lo stesso tizio se dovesse decidere di servirsi dell’auto per raggiungere Papardo. Dopo il brivido dell’attraversamento sul Ponte sospeso, egli dovrebbe infilarsi come una palla di fucile nella bretella autostradale, teoricamente priva di svincoli, che da Ganzirri lo condurrà inevitabilmente alla famigerata galleria a quattro corsie, oggetto di controverse valutazioni e tuttavia prontamente finanziata (Gazzetta del Sud 18 Settembre 2010). Se supererà il non facile barrage, egli dovrà tornare anche questa volta sui suoi passi e raggiungere la meta attraverso la strada Panoramica, sommando ad una lunga fatica di guida il fare “obtorto collo” un percorso antidromico, termine che a livello cardiaco indica una anomala conduzione dell’impulso attraverso il tessuto specifico. Altri esempi non meno significativi potrebbero farsi nel caso teorico della mancata esecuzione di altre opere collegate.

E’ di tutta evidenza che gli esempi caricaturali, prima citati, abbiano il solo scopo di prevenire un ipotetico scalpore internazionale, che finirebbe con il coinvolgere lo stesso Dott. Ciucci, se si dovesse giocare alla lesina nel delicato settore delle opere collegate al Ponte.
Stabilito quindi che le ”opere collegate” siano inscindibili dall’opera - in quanto necessarie ed utili primariamente al Ponte - e che, pertanto, la Società Stretto nell’affrontarne la realizzazione assolverà agli obblighi assunti, nessuno può negare che le stesse abbiano il potere di indurre riflessi epifenomenici sull’ambiente territoriale. Generalmente tali effetti sono di segno positivo, ma non sempre è così.
Non sfugga, a tal riguardo, come il ruolo funzionale della “famigerata” galleria a quattro corsie rimanga molto discutibile e riproponga gli interrogativi già sollevati nel capitolo I^ “Scompenso circolatorio, basterà il trapianto ?” di questa serie di articoli su “Un patologo e il Ponte”. Se non ho decrittato male la “tavola etrusca” ovvero … - mi scuso ! - il “progetto di massima” apparso su Gazzetta del Sud il 3 Settembre 2010, sembra di capire che, una volta a regime, nella galleria suddetta dovrebbe confluire il traffico delle direttrici Sicilia orientale/Sicilia Settentrionale in direzione Nord-Sud e viceversa, più il traffico cittadino, cioè un volume di mezzi certamente esorbitante.
Spero di essere smentito, ma temo che i progettisti delle opere collegate al Ponte non abbiano ben chiare le leggi di equilibrio dinamico che presiedono al movimento dei fluidi organici (sangue, linfa, liquido interstiziale) nei vari compartimenti del corpo umano, e per questo propongano una soluzione poco convincente.

Tu, caro Peppino, eccellente medico nutrizionista e dietologo da tutti apprezzato, potresti ben spiegare a questi Signori quali guasti produca l’accumulo patologico di liquido nell’organismo (edema). Se il distretto colpito è quello polmonare, il decorso può essere fulminante.
Una preparazione anatomica paradigmatica li metterà sulla buona strada: quattro vene polmonari si aprono nell’atrio della sezione sinistra del nostro cuore – struttura veramente mirabile rispetto alla galleria che vogliono costruire – poi, superato il ventricolo, il loro sangue arterioso troverà libero sfogo in un’altra mirabile struttura, l’arteria aorta, il cui diametro elastico è almeno pari alla somma del calibro delle suddette vene. Guai al pover’uomo che si trovasse nel pelago dei guasti anatomici e funzionali di questi distretti vitali per uno smaltimento severamente deficitario della frazione di eiezione di sangue ventricolare: appunto egli potrebbe finire i suoi giorni con un edema polmonare acuto ! E’ chiara la metafora ? E’ significativa la equipollenza sul possibile sopraggiungere di uno scompenso critico della circolazione automobilistica in un sistema caratterizzato da un numero di affluenti in sovrannumero rispetto alle vie di deflusso disponibili ?

Comunque, dopo le mie critiche costruttive, ecco giungere finalmente la prima gratificazione apportata al nostro territorio dalle opere collegate al Ponte: il protocollo d’intesa sottoscritto dai rettori delle Università degli Studi di Messina e Reggio Calabria assieme agli amministratori delegati della Società Stretto, del Consorzio Eurolink, della Parsons in Italia ed al direttore generale di Sviluppo Italia-Sicilia.
L’iniziativa è finalizzata “a creare opportune forme di collaborazione per l’intera durata della realizzazione dell’opera e risponde alla necessità condivisa di avviare in sinergia un processo di coordinamento, utilizzando ciascuna parte le proprie risorse umane, strutture e competenze”.
In tal modo gli aspetti di studio e di ricerca, organizzativi, progettuali, esecutivi di un’opera assolutamente eccezionale verranno riversati in termini di formazione professionale sul personale docente e non docente e sui giovani che frequentano le Università degli Studi di Messina e Reggio Calabria. Se reale e compiuto il disegno rappresenterà la svolta per l’innalzamento qualitativo dei due Atenei con metodologia non autoreferenziale. Negli anni scorsi da delegato del rettore ai “rapporti col territorio”, sarei stato molto compiaciuto di potere contribuire alla sua elaborazione !
In linea con ciò, da questo Blog rivolgerò a due illustri Colleghi una calda esortazione, mirata a stimolarne l’attenzione critica sullo sviluppo attuativo di tale modello operativo ai fini della sua eventuale divulgazione all’intero sistema delle università degli studi e delle aziende imprese.

  1. LE OPERE COMPENSATIVE

Nessuno sa esattamente in cosa consistano.

Ecco cosa in realtà debbono essere: solo doverose opere risarcitorie per la “tragedia” subita in quaranta anni da Messina “Città camionabile” e nei prossimi dieci da Messina “Città cantiere”, opere che – come abbiamo visto - nulla hanno a che spartire con le opere collegate al Ponte !
Non vedo motivi di dubbio. Anche il solo tentare un accostamento tra le due tipologie rappresenta una mistificazione, che offende la dignità dei messinesi e va respinta. Infatti non indugerò sull’esigenza di giustizia che sommuove l’istanza delle opere compensative, proprio perché le opere collegate rispondono a ben altre esigenze tecniche: questo il distinguo basilare.

E Tu, caro Sindaco, inviti giustamente a superare ogni cesura:“Bisogna unire le forze per ottenere più vantaggi possibili !”
Proprio in questa direzione è indispensabile conseguire un sostanziale, armonico equilibrio sui tre punti illustrati, senza sbilanciamenti e ridondanze a favore di uno o dell’altro, né blocchi e discrasie attuative che compromettano la realizzazione di uno di essi o parti.
Con intendimenti di chiarezza è quindi necessario stabilire una precisa delimitazione di aree di responsabilità, nel senso che:

  1. Al signor amministratore delegato della società Stretto bisogna parlare e chiedere solo di Ponte e opere collegate
  2. Alla classe politica locale, regionale e nazionale bisogna 
  3. sollecitare la sorveglianza sul Ponte e opere collegate

b) perorare l’impegno fattivo sulle opere compensative.

Se questo si vuole realmente, molti equivoci amministrativi, finanziari ed economici saranno stroncati ab initio. Al riguardo, mi permetto elencare in due tavole sinottiche ciò che prioritariamente chiedo per la mia adorata Città.

AL DOTT. CIUCCI

- Ponte abitato
- Architettura dinamica
- Parco energie rinnovabili
(eolico, solare, sfruttamento correnti marine)
- Priorità opere collegate  a mobilità esterna ed interna
- Copertura finanziaria strettamente concatenata
1 sbancamento = 1 edificazione
- Procedure e standard di qualità a norma europea
- Manutenzione continua rete stradale interessata
- A lavori ultimati destinazione 1-2 discariche a parcheggi T.I.R. e magazzini stoccaggio merci  completi e funzionanti
             
ALLA POLITICA

T.I.R. fuori dalla Città !
                                                              
Completamento  stanotte anziché domani porto Tremestieri potenziato

Il “trenino rosso” di Camaro come quello del Bernina  per conquistare apici meravigliose colline patrimonio unico paesaggistico  residenziale turistico   
Seconda linea tranviaria a una sola via  collegata a quella esistente per uffici e scuole centro Città 

    
Terza linea tranviaria a una sola via collegata a quella esistente dal Parco Sabin ai Laghi

Metroferrovia da un estremo all’altro del Comune Scaletta-Giampilieri-VillaFranca

Da questi temi dovrebbero sparire poca sostanza realizzativa e ballon d'essai, leit motiv frequentissimi negli ultimi quaranta anni a Messina. 
Per andare a cose concrete occorre chiamare presto attorno a un tavolo (sinonimo: Convegno) messinesi e non, scienziati e tecnici, professori universitari e manager, semplici cittadini e politici, tutti uomini di buona volontà accomunati sotto l’unica bandiera dei “Non solo Ponte” (*), il più olistico degli slogan coniato da Michele Comparetto, architetto in Torino.

Ho menzionato in ultimo i politici volutamente, perché la loro presenza non può essere casuale, bensì significativamente articolata con i ragionamenti esposti. In estrema sintesi: il Ponte di Messina guarda decisamente verso l’Africa e l’Oriente, con cui poter interagire se “abitato”… il Ponte reincarna così lo spirito della “Nobile” Messina di un tempo … il Ponte di Messina mette in ebollizione una variegata tematica di “diritti umani” …

Caro Signor Sindaco, ci sono gli uomini giusti, pronti ad aprire queste combinazioni decisive, senza di cui dietro l’angolo giganteggia il rischio di parlarci addosso per l’ennesima volta, vanificando una svolta epocale per il Meridione d’Italia. In tempi di politica dell’autonomia e del regionalismo, errori del genere sarebbero imperdonabili.

Con ogni riguardo
                                                                Prof. Cosimo Inferrera

 

  1. PATOLOGO E IL PONTE: APPUNTI E MEMORIA

di Cosimo Inferrera

Il fumo negli occhi di una cosa paventata, sebbene inesistente come il Ponte sullo Stretto di Messina, riesce a distogliere l’attenzione degli osservatori (tutti disinteressati?) da tanti fatti negativi, che da anni perpetuano il martirio di Messina.
Vorrei riportare i lettori sul nucleo centrale dell’articolo “Oltre il Ponte cos’altro passerà sulla nostra testa?” - presente in questo web per focalizzare l’attenzione sui problemi della Città, attinenti direttamente o indirettamente alla realizzazione del collegamento stabile tra la sponda siciliana e quella calabrese - ed invece i commenti continuano ad insistere sul manufatto in sé e per sé.
 Purtroppo la mente fervida degli interlocutori non viene sfiorata dalle questioni di elementare vivibilità, che già affliggono i messinesi, ed ancor più lo faranno in futuro con il Ponte o senza !

Eccone un esempio palpabile. In questi giorni l’annosa questione della ultimazione degli “svincoli” tra la c. d. strada “Panoramica dello Stretto” e la tangenziale autostradale si arricchisce di una nuova perla scandalistica.
La “bretella” di un nuovo tratto autostradale, che collegherà il Ponte alla tangenziale, farà la sua intrusione in una galleria quasi ultimata degli svincoli, inizialmente destinati a ricevere solo il traffico cittadino della stessa “Panoramica”. Apportando modifiche strutturali non previste all’inizio lavori, nell’interno della galleria si faranno confluire le due corsie della “Panoramica dello Stretto” e le due della “bretella”, ma subito dopo tutte e quattro entreranno in conflitto per lo scarico del traffico sulle due sole corsie presenti negli svincoli in costruzione. E’ facilmente prevedibile una intensa iperemia, cioè un ingorgo dei mezzi provenienti da Berlino in giù con quelli dei malcapitati siciliani, messinesi in particolare. 

Anche un semplice cittadino, digiuno di problematiche di trasporti e vie di comunicazione, ed ancor più un “sacerdote”  di Santa Madre Notomia, cioè un cultore di Anatomia, nonché un professore ordinario con esperienza cinquantennale di Anatomia Patologica – figlia diletta di Santa Madre Notomia - sarebbero indotti a muovere rilievi critici. Infatti è cosa risaputa che da due vene confluenti se ne forma sempre una di calibro maggiore, più o meno pari alla somma delle affluenti. Se questi parametri non sono rispettati il chirurgo vascolare che interviene, così come l’ingegnere che progetta una strada a due corsie, quando ce ne vorrebbe una a quattro, creeranno una immancabile stasi circolatoria, rendendo inutile l’opera tanto attesa, pure necessaria, ma male eseguita.
Per di più il quadro finora prospettato è solo parziale: occorre allungare lo sguardo a quello che succederà immediatamente dopo gli svincoli, una volta raggiunta la suddetta tangenziale, che collega le autostrade Messina – Catania e Messina – Palermo.
E’ doveroso precisare che avere realizzato, nella Messina di trenta e più anni fa, opere colossali come il viadotto Ritiro e la galleria dei Peloritani, incastonati nella tangenziale, può essere definito un vero e proprio “miracolo”. Ciò fu dovuto al peso del sistema politico messinese in generale, e democristiano in particolare, che allora contavano molto a livello nazionale, nonché al valore e peso specifico di un uomo come il Presidente dell’Autostrada on. Vincenzo Ardizzone, personalità brillante per serietà, concretezza, efficacia e lungimiranza. I suoi sforzi generosi diedero frutti importanti per l’intera comunità siciliana, di cui ancora godiamo, ma bisogna pur dire che, alla lunga, le caratteristiche delle opere eseguite nella tangenziale, come gallerie e viadotti, non potranno reggere ai nuovi afflussi circolatori.

Diamo per scontato che il traffico del Ponte da e per Palermo e da e per tutta la Sicilia occidentale passi attraverso un’altra “bretella” che si aprirà nella stazione di Villafranca dell’autostrada Messina – Palermo; diamo anche per scontato che attraverso la “bretella” - di cui ci occupiamo - passi solo il traffico del Ponte da e per Catania, da e per tutta la Sicilia orientale.
Vogliamo ora valutare quello che succederà nella tangenziale a partire dal viadotto Ritiro in avanti verso Catania, una volta che il traffico proveniente dal Ponte e dal territorio messinese limitrofo impatterà sui minisvincoli successivi che adducono traffico cittadino in entrata ? Vogliamo fare la stessa cosa anche nella direzione opposta, cioè studiare quello che potrà avvenire nella tangenziale una volta che il traffico proveniente da Catania e da tutta la Sicilia Orientale, in direzione del Ponte e del territorio limitrofo, impatterà sui minisvincoli successivi che adducono traffico cittadino in entrata ? Vogliamo ancora cercare di prevedere gli intasamenti di rimbalzo che si potranno determinare sia nella c. d. “Panoramica dello Stretto” sia nel nuovo tratto autostradale originato dal Ponte, entrambi collegati dalla famigerata “bretella” alla tangenziale autostradale ?  
Secondo previsioni ragionevoli, basate sull’evidenza odierna, per i malcapitati utenti di questo carosello ci sarà un inferno, mentre per i “poveri” (sic !) progettisti si leveranno solo maledizioni.      

Qualcuno dirà che molte delle suaccennate preoccupazioni non hanno ragion d’essere, perché è prevista la costruzione di una seconda tangenziale destinata al raccordo preferenziale tra le autostrade di Palermo, di Catania e del Ponte, senza l’impatto frequente con i minisvincoli cittadini.
A questo punto un cittadino, un cultore di Anatomia, un professore ordinario di Anatomia Patologica rivolgeranno una domanda impertinente: “Ma allora perché vogliono scassare quella galleria in via di ultimazione tra gli svincoli della c. d. “Panoramica”, tanto attesi da quasi venti anni, ed infilarci dentro la bretella del Ponte come fosse un insaccato ?” “Perché questo intruglio ?”
La situazione che si prospetta è molto simile ad un grave quadro di patologia clinica, cui ricorro per metafora.   
Se alla tangenziale autostradale dopo l’innesto degli “svincoli” in costruzione attribuiamo la stessa funzione di un cuore pulsante in evidente difficoltà emodinamica, l’equipollente sintomatologia sarà diagnosticata come scompenso cardiogeno retrogrado con stasi venosa generalizzata. Giacché il cuore non riesce a smaltire la quantità di sangue che riceve, il paziente accuserà dispnea ingravescente – cioè fame d’area – marcato deficit nell’apporto di ossigeno e metaboliti nutritivi ai tessuti nobili (encefalo, cuore, fegato, reni), riduzione della clearence di anidride carbonica e cataboliti tossici attraverso gli emuntori, epatomegalia, edemi spiccati agli arti inferiori, versamenti imponenti a carico delle cavità sierose (ascite, anasarca). Per capirci: nel caso di scompenso cronico irreversibile la qualità di vita è pessima, la vita sedentaria obbligata, infine la morte o il trapianto cardiaco.

Ho dipinto sommariamente il tragico quadro non solo per alludere al distretto cittadino messinese, invischiato maledettamente nei problemi di circolazione sin dal completamento dell’Autostrada del Sole, ai tempi degli on.li Fanfani, Gullotti e Mancini, ma anche per sottolineare che il ritardato sviluppo dell’intero Meridione è dovuto primariamente alla insufficienza strutturale e funzionale delle sue vie di comunicazione, su cui sarebbe auspicabile che il Ponte eserciti una funzione di stimolo salvifico, proprio come fa un cuore trapiantato su un organismo in scompenso cronico.

Basterà ? Negli anni trascorsi girava una bufala: “Prima le opere preparatorie - ammodernamento della rete stradale, doppio binario ferroviario in Sicilia e Calabria, ecc. - poi il Ponte …!”. Infatti, finora, né opere preparatorie, né Ponte.
Oggi siamo alla resa dei conti: “Il Ponte è la cinghia di trasmissione per la realizzazione di tutte le infrastrutture necessarie …! “ Vero, almeno in parte, o altra bufala ?
Infatti ancora una volta tutto sarà stato vano, se le opere connesse al Ponte funzioneranno male, se le opere aggiuntive saranno più apparenti che reali, come la “bretella” di cui parliamo, se insieme al Ponte non venisse realizzata, quale opera compensativa per Messina, una rete intermodale di trasporti under ground e di superficie (v. in questo web il suddetto articolo “Oltre il Ponte cos’altro passerà sulla nostra testa?”).
Noi ancora confidiamo che finalmente si imbocchi la strada delle opere eseguite a regola d’arte, in tempi certi, a costi certi e che - “summa iniuria” – non si faccia artatamente confusione tra le opere connesse al Ponte, cioè indispensabili alla fruizione del grandioso manufatto, e le opere realizzate nell’interesse della Città e del territorio.

Nessuna si illuda: se l’utente non sceglie la via aerea o quella del mare, Messina resta per chiunque un nodo strategico rispetto all’Isola ed al resto d‘Italia, giacché le soluzioni che si daranno ai suoi problemi si faranno risentire indiscutibilmente, con pregi e difetti, sull’intera rete ferroviaria e stradale. Svincoli e abbarbicati problematici – testé citati - indicano come non giovi molto indirizzare lo sguardo soltanto al “pesce”, cioè al Ponte, ed invece occorra osservare anche il “gatto”, che già si lecca i baffi nell’attesa di farne un sol boccone.
Un responsabile esercizio critico é quindi necessario non solo sul Ponte, ma sull’intera questione. E i messinesi ? Chi siano e dove stiano è un’altra storia. Per il momento si fanno sentire soltanto i “No Ponte !”

 

 

di Alessandra Basile

Il terremoto del 28   dicembre 1908 che devastò la Città dello Stretto, rappresentò per Messina una   frattura sociale ed economica. La distruzione totale della città, la perdita   del suo retroterra industriale e delle professionalità imprenditoriali legate   a essa, segnarono la sua vita economica nei decenni successivi, concentrando   nell’attività della ricostruzione edilizia tutti gli sforzi economici.
 
  L’economia messinese mostrò dei sintomi di ripresa nel corso degli anni   Venti. Per quanto riguarda, in particolare, il ramo dei servizi si riscontrò   uno sviluppo consistente nei comparti inerenti alla distribuzione   dell’energia elettrica, ai trasporti e alla produzione e distribuzione di   gas. Per quanto riguarda l’industria il settore maggiormente sviluppato era   quello manifatturiero. Negli anni Trenta, però, Messina fu costretta ad   affrontare un nuovo periodo di crisi, provocata dal rallentamento   dell’attività edilizia dovuto all’arresto dei finanziamenti statali.
 
  Alla crisi del settore edile si aggiunse anche quella dell’industria   agrumaria e dei suoi derivati. Ciò provocò una pesante riduzione delle   esportazioni, settore trainante dell’economia messinese.
  Gli anni Cinquanta, per Messina, furono gli anni del sogno, della ripresa   economica. "Due erano i nuclei di produzione industriale competitivi   sui mercati internazionali: il settore della cantieristica navale e quello   dei derivati agrumari". (Guido Signorino- Le attività   imprenditoriali). Nel 1956, venne brevettato dall’ingegnere Rodriguez un   nuovo mezzo di trasporto marittimo: la "Freccia del Sole",   il primo aliscafo commerciale al mondo. Un mezzo leggero e veloce, concepito   per affrontare le insidie dello Stretto.
 
  L’esportazione delle essenze agrumarie e dei limoni costituì l’altro settore   strategico dell’economia messinese. La "Sanderson",   azienda leader nel settore, continuò a registrare una notevole espansione   anche grazie a una positiva diversificazione produttiva. Un altro settore   industriale/artigianale che ebbe un peso notevole nella struttura produttiva   della città fu quello delle industrie alimentari: frantoi, industrie   dolciarie, pastifici. Inoltre anche il turismo diede i primi segnali di   risveglio grazie all’attrazione di Taormina e delle Eolie, che   diventeranno negli anni ’60, prestigiose mete del turismo di élite.
 
  Gli anni Settanta segnarono la svolta, la metamorfosi della Città dello   Stretto. Proprio nei primi anni dei ’70 ebbe inizio, infatti, il declino   inarrestabile di Messina che progressivamente perse il suo ruolo, la sua   identità e andò verso la stagnazione. Il settore edile, che aveva giocato un   importante ruolo nel mercato del lavoro locale, entrò in crisi per l’introduzione   di nuove tecnologie che permisero di ridurre il numero di addetti per unità   di prodotto. Anche il settore del commercio e del credito, che aveva fatto   registrare un incremento occupazionale nel periodo 1951-1971, fu   toccato dalla crisi legata alla stagnazione della popolazione e alla scarsa   dinamica delle forze produttive locali.
 
  Gli anni Ottanta e i Novanta si caratterizzarono per un fenomeno definito dei   "nuovi poveri". In sostanza, se nel primo ventennio del   Dopoguerra un operaio edile riusciva a comprare una casa e metter su   famiglia, negli anni ’90, un operaio edile era costretto a vivere nella casa   dei genitori con moglie e figli perché la sua condizione di precario   sottopagato non li consentiva di essere del tutto indipendente dai genitori.   Il lavoro dei giovani era caratterizzato da: assenza di sindacalizzazione,   salario da fame e precarietà assoluta. Accanto a questa massa di giovani   precari con contatti a termine, si affiancò, soprattutto a Messina, una massa   di giovani ufficialmente disoccupati. Si passò, infatti, nel comune di   Messina da un tasso di disoccupazione giovanile del 60,3% al 66,2%.
 
  Oggi la provincia di Messina si caratterizza per il grande peso assunto dal   terziario, l’84,2% del Pil provinciale. Questo sviluppo va letto in una   chiave ben precisa: provincia e città capoluogo, sono crollate sul piano   produttivo a vantaggio di un peso crescente di apparati pubblici parassitari   e assistiti dall’emergere di una criminalità organizzata che ha dato il colpo   di grazia a un tessuto sociale ed economico già profondamente sfibrato.
 
  Quella che negli anni Cinquanta era la provincia siciliana tra le più dotate   di potenzialità, è oggi diventata una delle aree di maggiore crisi   occupazionale.

 - di Alessandra Basile -

Nel canale fra la   Tunisia e la Sicilia, l'isoletta di Pantelleria era base nemica di aerei e   motosiluranti. Nel gennaio 1941 gli Alleati ne avevano progettato l'attacco e   l'occupazione, ma passò l'occasione ed essa rimase come una spina sul fianco   per tutto il periodo più duro dell'assedio di Malta. Ora si rendeva   necessario non solo conquistarla, ma utilizzarla per la loro aviazione.   Attacchi aeronavali cominciarono subito dopo la presa di Tunisi. I   bombardamenti continuarono fino all'8 giugno, quando fu chiesta la resa   incondizionata da parte delle forze dell'Asse. Questa fu respinta, e uno   sbarco fu attuato l'11 giugno, protetto da un massiccio bombardamento dal   cielo e dal mare. S'era fatto in precedenza un gran parlare dell'entità e dei   pericoli di questa impresa. La quale fu coronata da un pieno successo, senza   perdite da parte degli Alleati, a eccezione, secondo i marinai, d'un soldato   ferito dal morso di un somarello.
 
  Più di 11.000 prigionieri caddero nelle loro mani. Nei due giorni successivi   anche le isole vicine di Lampedusa e Linosa capitolarono. Ora nessun   avamposto nemico rimaneva più a sud della Sicilia. Intensi attacchi aerei   sulla Sicilia (e Sardegna) ebbero inizio il 3 luglio col bombardamento di   aeroporti, molti dei quali furono resi inservibili. I caccia Italiani furono   costretti alla difensiva e i bombardieri a largo raggio a ritirarsi sul   continente italiano. Quattro delle cinque navi-traghetto operanti attraverso   lo stretto di Messina furono affondate.
 
  Quando i convogli britannici e americani si stavano avvicinando all'isola la   superiorità aerea s'era saldamente affermata e le forze aero-navali dell'Asse   non fecero nessun serio tentativo di opporsi al nostro sbarco. Fino all'ultimo,   il nemico fu in dubbio, grazie alle loro finte, sul punto preciso ove   avrebbero attaccato.
 
  I movimenti navali degli Alleati e i preparativi militari in Egitto fecero   pensare a una spedizione in Grecia. Dopo la caduta della Tunisia il nemico   aveva mandato altri aeroplani nel Mediterraneo, ma non in Sicilia, sebbene   nel Mediterraneo orientale, nell'Italia nord-occidentale e in Sardegna.Nel   periodo critico, mentre i convogli stavano per toccare il loro obiettivo, il   generale Eisenhower stabilì il suo comando a Malta, dove le comunicazioni   erano eccellenti. E là fu raggiunto dal generale Alexander e dall'ammiraglio   Cunningham. Il maresciallo dell'Aria Tedder rimase presso Cartagine a   controllare le operazioni aeree combinate.
 
  Il 10 luglio era il giorno stabilito. La mattina del 9 luglio le due grandi   flotte conversero dall'est e dall'ovest a sud di Malta, e fu quello il   momento per tutti di volgere la prua verso le spiagge di Sicilia.   L'ammiraglio Cunningham disse nel suo dispaccio: «I soli incidenti che velarono   la precisione di quel notevole concentramento di vapori fu la perdita per   attacchi sottomarini di tre navi in convoglio. Il passaggio dei convogli fu   protetto nel modo più efficace: la maggioranza non fu avvistata dagli   apparecchi nemici».
 
  Frattanto le forze aeree alleate martellavano le linee di comunicazione e gli   aeroporti del nemico nell'Italia meridionale, e il porto di Napoli. Il 19   luglio una grossa formazione di bombardieri americani attaccò gli scali   ferroviari e l'aeroporto di Roma. I danni furono notevoli e il colpo   accusato. Nella stessa Sicilia gli americani avanzavano senza posa sotto la   guida entusiasta del generale Patton. La loro terza divisione di fanteria e   la seconda corazzata ebbero il compito di occupare la parte occidentale   dell'isola, dove erano rimaste soltanto truppe italiane, mentre il corpo   d'armata americano, formato dalla prima e dalla quarantacinquesima divisione,   doveva giungere sulla costa settentrionale e poi puntare a est, lungo le due   strade principali per Messina.
 
  Palermo fu presa il 22 luglio e alla fine del mese gli americani avevano   raggiunto la linea Nicosia-Santo Stefano. La loro terza divisione, compiuta   la sua missione nella Sicilia occidentale, era stata portata a sostegno   dell'avanzata lungo la costa settentrionale, mentre la nona divisione veniva   fatta giungere dall'Africa, dove, come la 78a divisione inglese, era stata   tenuta in riserva. Il campo era così pronto per le battaglie finali. ll   rapido crollo dell'Italia si faceva sempre più probabile. Il generale   Eisenhower e i suoi principali collaboratori convennero che l'Italia fosse il   loro obiettivo immediato.
 
  Sebbene preferissero ancora sbarcare innanzi tutto sulla punta dello stivale,   perché scarseggiavano gli aeroplani e i mezzi da sbarco, per la prima volta   cominciarono a vedere di buon occhio un attacco diretto su Napoli. Questa era   così lontana dalle basi aeree britanniche recentemente conquistate in   Sicilia, da ridurre notevolmente le possibilità di protezione dello sbarco da   parte dell'aviazione da caccia. Il 22 luglio i capi di Stato Maggiore   britannici invitarono i colleghi americani a studiare l'attacco diretto su   Napoli dato che portaerei e naviglio supplementare sarebbero stati a   disposizione. Gli americani però vedevano la situazione da un punto di vista   diverso.
 
  Pur accettando l'idea dell'attacco restarono tenacemente fedeli alla loro   decisione originaria di non mandare ulteriori rinforzi dall'America a   Eisenhower né per questo né per alcun altro fine. Eisenhower facesse il   meglio che poteva con quello che aveva. Inoltre insistettero perché tre   gruppi dei loro bombardieri pesanti fossero trasferiti in Inghilterra. Ne   nacque così un dissidio. I capi di Stato Maggiore americani non credevano che   la conquista d'Italia potesse seriamente minacciare la Germania, e temevano   inoltre che i tedeschi si ritirassero lasciandoli a colpire il vuoto. Non   ritenevano che ci fosse una grande convenienza a bombardare la Germania   meridionale da basi aeree poste nell'Italia del Sud, e volevano che tutti gli   sforzi contro la Germania fossero concentrati sulla rotta più breve   attraverso la Manica, anche se per dieci mesi almeno nulla potesse accadere   in quel settore.
 
  I capi di Stato Maggiore britannici fecero notare che la conferenza di   Washington aveva espressamente dichiarato che l'eliminazione dell'Italia   dalla guerra era uno dei più immediati obiettivi alleati.
 
  L'attacco su Napoli, al quale era stato dato ora il nome convenzionale di   "AvaIanche", era il mezzo migliore di raggiungere questo obiettivo,   senza contare che il crollo dell'Italia avrebbe enormemente aumentato le   probabilità favorevoli, per non dire decisive, dello sbarco oltre Manica.   Portal, capo di Stato Maggiore dell'aviazione, sottolineò il fatto che   attacchi in grande stile contro l'industria bellica germanica,   particolarmente sulle fabbriche di aeroplani da caccia, avrebbero potuto   essere pienamente efficaci solo con l'aiuto degli aeroporti italiani. Il   possesso di queste basi aeree avrebbe pertanto contribuito grandemente a una   vittoriosa invasione della Francia. Gli americani non si lasciarono   convincere. Tuttavia, la maggior parte delle forze da impiegarsi nell'   ‘Avalanche" erano britanniche.
 
  Per riparare alla scarsità di apparecchi da caccia a grande autonomia,   l'Ammiragliato britannico assegnò in sostegno dello sbarco una portaerei   leggera e altre quattro di scorta, e il Ministero dell'Aria dette al generale   Eisenhower tre delle nostre squadriglie di bombardieri, che si era   precedentemente deciso di ritirare dal Mediterraneo.
 
  Mentre queste discussioni piuttosto aspre erano in corso, la situazione venne   completamente trasformata dalla caduta di Mussolini. L'argomento a favore   dell'invasione dell'Italia divenne ora preminente. I tedeschi reagirono   prontamente e l'invasione degli Alleati, e in particolar modo l'attacco su   Napoli, non ne fu grandemente facilitata. Soltanto l'"Avalanche"   riuscì. E fu una fortuna che gli inglesi avessero inviato ulteriori forze   britanniche aeronavali. I rischi sarebbero stati ulteriormente ridotti se il   naviglio supplementare che ritenevano essenziale per accrescere il flusso dei   rinforzi dopo lo sbarco fosse stato concesso. In questo non riuscirono a   convincere gli americani, e prima che l'operazione avesse inizio molte navi   americane furono ritirate e alcune delle navi da guerra britanniche furono   anche mandate in India.
 
  La brillante conquista di Centuripe, da parte della settantottesima divisione   britannica da poco arrivata, segnò l'ultima fase. Catania cadde il 5, dopo di   che tutto il fronte britannico si spostò in avanti fino alle pendici   meridionali e occidentali dell'Etna. La divisione americana prese Troina il 6   agosto dopo accaniti combattimenti, e la nona divisione americana,   inserendosi entro la prima, entrava a Cesarò il giorno 8.Lungo la costa settentrionale   la quarantacinquesima divisione seguita dalla terza,entrambe degli Stati   Uniti, raggiunse Capo Orlando il 10 agosto, con l'aiuto di due piccole ma   abilmente condotte operazioni anfibie di aggiramento sul fianco.
 
  Dopo l'occupazione di Randazzo, il giorno 13, i tedeschi si sganciarono per   tutta la lunghezza del fronte, e sotto la protezione delle sue forti difese   antiaeree dello stretto di Messina fuggirono nelle notti seguenti sull'Italia   continentale. Gli eserciti Alleati si precipitarono su Messina. Le   demolizioni nemiche sulla strada costiera Catania-Messina rallentarono la   marcia dell'ottava armata, e con un breve margine la corsa fu vinta dagli   americani, che entrarono per primi a Messina il 16 agosto. Così si concluse   un'abile e vittoriosa campagna in soli 38 giorni. Grandi erano state le   difficoltà del terreno. Le strade erano anguste e i movimenti di truppe   attraverso il paese erano stati spesso impossibili se non per uomini   appiedati. Sul fronte dell'8a armata la massa torreggiante dell'Etna gli   aveva sbarrato la strada, permettendo inoltre al nemico di spiare le loro   mosse.
 
  Tra i gli uomini nella parte bassa della piana di Catania aveva infuriato la   malaria. Ciò nondimeno, stabilito che erano saldamente nell'isola, e quando   le loro forze aeree entrarono in azione dagli aeroporti occupati, mai l'esito   fu in dubbio. Le forze dell'Asse, secondo i dati del generale Marshall,   perdette 167.000 uomini, trentasettemila dei quali tedeschi. Gli Alleati   perdettero 31.158 uomini, tra morti, feriti e dispersi.

 

 

- di Alessandra Basile -

Messina iniziò a dipingere il suo   volto di nero il 12 ottobre del 1920, data in cui, in seguito a riunioni   informali di alcuni esponenti locali appartenenti al ceto delle professioni,   si costituì il Fascio di combattimento.
 
  Responsabile del movimento, il ragioniere Romano Macrì, che inviò un   telegramma di saluto a Benito Mussolini, dichiarando la costituzione del   Fascio e inserendo anche i nomi di coloro che ne presero parte.
 
  La prima manifestazione pubblica dell'avanguardia fascista avvenne subito   dopo le consultazioni comunali, quando il PSI messinese organizzò un   congresso regionale che si svolse dal 12 al 15 novembre. L'insuccesso   socialista alle elezioni comunali dei primi di novembre incoraggiarono le   azioni offensive del neonato movimento fascista. Per fortuna negli scontri in   piazza non ci furono vittime, né feriti, ma la reazione socialista si   tradusse in uno sciopero generale.
 
  Fino alla Marcia su Roma, comunque, il fascismo messinese non riuscì a   condizionare in maniera rilevante la vita politica della città. Rimase ciò   che era già alla vigilia delle elezioni del 1921, un movimento che faceva   della violenza contro gli avversari politici la sua forza e l'arma della sua   lotta politica. Nei mesi successivi si verificarono con maggior frequenza,   episodi gravi di violenza che causarono morti e feriti.
 
  Alla vigilia della Marcia su Roma, nell'agosto del 1922, il prefetto Pietro   Frigerio, personalità molto vicina al partito di Mussolini, applicò una   normativa governativa per il riordino del pubblico impiego. Oltre agli   ambienti massonici, fu colpita dall'atto anche la classe operaria. Ventisei   operai, infatti, vennero licenziati dalle Ferrovie dello Stato. Immediate le   reazioni della popolazione cittadina. L'opposizione al fascismo scese in   piazza con il Movimento del Soldino: i manifestanti si fregiarono di una   moneta raffigurante il sovrano, in segno di sfida a Mussolini e di deferenza   al re. Nel 1923 il prefetto Frigerio scrisse:"Non si può sperare di   rendere d'un colpo fascista la città. In un primo momento basta intonarla al   fascismo. Sarà un notevole successo se avremo la città simpatizzante e se   avremo neutralizzato il lavoro dei sabotatori del governo. Più in là in un   secondo momento che non può essere immediato avremo la vera affermazione   fascista".
 
  Il 22 giugno del 1923, la città si preparò a ricevere la visita di Benito   Mussolini. Il segnale più importante che diede inizio alla fascistizzazione   di Messina, fu il colloquio che Mussolini ebbe con monsignor Angelo Paino, da   pochi mesi arcivescovo della città. Alla fine dell'incontro Paino   dichiarò:"Ebbi dal duce più di quanto mi aspettassi, più ancora di   quanto richiedessi. Dovevo imporre un limite alle mie richieste, visto che   lui non sapeva porre un limite alle sue concessioni".
 
  In effetti il colloquio si tradusse in una forte accelerazione della   ricostruzione degli edifici ecclesiastici, distrutti o danneggiati, dal   sisma. A parte gli aspetti politici, il consenso unanime della città verso la   dittatura si basò sulla constatazione generale che, se ancora tanto restava   da fare nell'opera di ricostruzione della città, moltissimo era stato fatto,   al punto che agli inizi degli anni Trenta si potevano considerare conclusi i   due terzi circa dell'opera di ricostruzione.
 
  Grandi strutture pubbliche furono completate a cavallo fra gli anni Venti e   Trenta, in particolare l'università, il tribunale, il municipio, la Galleria   "Vittorio Emanuele", il Duomo con il campanile.
 
  L'opinione positiva nei confronti del regime, condivisa dalla maggioranza   della popolazione peloritana, si rafforzò con la nuova visita di Mussolini   nel 1937. La stampa locale enfatizzò il suo arrivo che avrebbe poi suscitato   l'entusiasmo cittadino.
 
  La Gazzetta quella mattina titolò "Oggi viene a Messina l'uomo più   grande del mondo intero". Mussolini, entusiasmò la folla,   promettendo che il governo si sarebbe impegnato a smantellare completamente   le baraccopoli ancora presenti in città, ma l'entrata in guerra dell'Italia   impedì il compimento dell'opera di ricostruzione. Così il Paese partecipò   alla seconda guerra mondiale (1939-1945) alleandosi con la Germania di   Hitler.
 
  Messina, per la sua posizione geografica e per il suo porto, divenne   inevitabilmente uno degli obiettivi militari primari delle forze inglesi. A   un mese dall'ingresso in guerra, la squadra navale di stanza a Messina si   scontrò nelle acque di Punta Stilo, con una squadra inglese. In seguito la   città fu vittima di attacchi alla struttura urbana, alle installazioni ferroviarie   e portuali, dai primi di gennaio del '41, con periodiche incursioni aeree e   diverse decine di morti tra la popolazione.
 
  Nel giugno dell'anno successivo iniziò l'esodo dei messinesi verso i centri   della provincia meno minacciati dagli attacchi aeronavali. Messina, negli   anni della seconda guerra mondiale, vide cancellarsi l'opera di ricostruzione   iniziata dopo il terremoto del 1908. Si calcolò che il 75% degli edifici   ricostruiti venne distrutto dai bombardamenti, con la morte di oltre un   migliaio di messinesi.
 
  Il 10 luglio del 1943, iniziò una nuova storia per Messina: le truppe   angloamericane sbarcarono in provincia di Siracusa e qualche giorno dopo la   caduta del fascismo, il 31 luglio, il commissario Catalano lasciò il suo   incarico e il prefetto Federico Solimena nominò al suo posto un funzionario   dell'amministrazione provinciale, Francesco Miceli, che guidò il comune fino   all' occupazione/liberazione angloamericana della città, che si realizzò il   17 agosto. Le truppe alleate entrarono in città senza dover fronteggiare   alcun combattimento o resistenza. L'esercito italiano era ormai in fase di   disfatta e i tedeschi pensavano solo a non restare lì imbottigliati e quindi,   desideravano solo fuggire verso "il Continente". Gli   angloamericani erano a tutti gli effetti ancora dei nemici, ma vennero   accolti come liberatori dalla popolazione, felice della fine della guerra.

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