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Tarantonio

Dic 08, 2024

 

A 350 metri dal livello del mare si ergeva, secondo le testimonianze storiografiche e i pochi resti archeologici presenti sul territorio, la Torre di Tarantonio, della quale si può risalire al perimetro di base, di circa 12 metri e alla sua straordinaria posizione difensiva.

Collocata, infatti, tra le rocce e i dirupi, rappresentava una rocca inprendibile e riusciva ad estendere il suo "sguardo" di perlustrazione su una zona molto vasta, da Capo Milazzo a Rosocolmo.

 

Prospiciente al mare, ma dislocata sulle colline dirimpetto ad esso, era l'ubicazione della massiccia torre a pianta quadrangolare, che sovrastava il grande casale di Ortoliuzzo del XIX secolo, con i suoi depositi e i suoi locali residenziali.


Oggi poco più che cumulo di macerie, era stata in passato classificata nel P.R.G. come torre di difesa, nonostante le sue reali funzioni fossero esclusivamente rivolte al controllo territoriale da parte dell'esercizio padronale in cui era incorporata.

  - di Nadia Trovatello -

 

Numerosi sono i miti e le leggende che hanno per protagonista le acque dello Stretto di Messina e che ne testimoniano, con i loro racconti, l'importanza geografico-strategica nel bacino del Mar Mediterraneo, sin dall'antichità.

Sede, infatti, per Omero di due terribili mostri, Scilla e Cariddi, che scuotevano furiosamente le malcapitate imbarcazioni facendole ruotare vorticosamente tra gorghi e tempeste marine per, poi, stritolarle, fracassandole contro gli scogli e portandole ad una fine davvero funesta.

Lo Stretto è di nuovo luogo di fascinazione, ma ancora con tragici epiloghi, quando tra i suoi anfratti, nascoste tra gli scogli, parte della geografia omerica tradizionale vi colloca le famigerate Sirene, che con il loro canto sublime ammaliavano i marinai, attirandoli sulla terraferma per poi cibarsene ferocemente.

Sono storie legate alla Mitologia greca che, comunque, già ci mostrano quale rilevanza avesse lo Stretto nelle rotte commerciali e di esplorazione (alla luce dell'imminente colonizzazione), per il mondo ellenistico delle prime Pòlis. Importanza che persiste anche in epoca romana e medioevale, quando nasce la leggenda di un intervento incantatorio della "celtica" Fata Morgana, compagna di Mago Merlino, proprio in queste acque. Incantesimo che denomina ancora oggi, riportandolo ad un contesto fiabesco, un chiaro, ma sempre straordinario, fenomeno ottico-atmosferico di grande risonanza turistico-paesaggistica.

Tornando alla fruizione nelle rotte di navigazione che interessavano l'attraversamento del Mediterraneo e il passaggio dai lidi orientali a quelli occidentali, lo Stretto, per la sua centralità in questo "trafficatissimo movimento", ha da sempre rappresentato una mèta appetibile per conquistatori e dominatori che volevano estendere la loro egemonia nella vasta area dell'antico Mare Nostrum.

Divenuto, poi, nel tardo Medioevo tappa obbligatoria per le flotte dei re Europei che dovevano raggiungere la Terra Santa durante le prime Crociate, lo Stretto, proprio in questo periodo vede pullulare le sue acque di navi e imbarcazioni provenienti da tutto 1'ècumene allora conosciuto e che qui si fermavano, trascorrendovi periodi più o meno lunghi (soprattutto inverni), prima di riprendere il viaggio per la Palestina.

Quì, qualche secolo dopo, nel 1571 esattamente, si riuniranno le navi di quasi tutti i regni cattolici Europei che, per difendere la Cristianità dall'imminente invasione ottomana, daranno vita alla prima grande e imponente alleanza marinara tra paesi di cultura occidentale contro il dilagare incontrollato e funesto delle armate turche.

Da qui, infatti, si muoveranno, tutte insieme, e guidate da un giovanissimo Don Giovanni d'Austria, verso Lèpanto, sede di una campale battaglia per la sopravvivenza del mondo cristiano, e che, grazie alla vittoria di quest'ultimo, vedrà legato per sempre lo Stretto di Messina a questo evento storico straordinario per l'Occidente intero.

Il controllo di un territorio così strategico diventa, allora, obiettivo di fondamentale importanza, da perseguire con acutezza e lungimiranza.

A questo mirano le numerosissime Torri di avvistamento di cui tutto il territorio che costeggia le Stretto è disseminato.

Torri che avevano lo scopo, oltre che di segnalare la rotta ai naviganti con i fuochi sempre accesi sulla loro sommità, quello, ancora più delicato, di difendere le spiagge dalle incursioni dei corsari barbareschi provenienti dalle coste africane e che, inoltrandosi poi nell'entroterra, tanto sterminio hanno recato, in epoche diverse, con le loro razzìe e i loro saccheggi.

Per difendere dunque la popolazione dei paesi che si affacciavano sulle acque del mare Messinese, tanto battuto da bande di pirati e di avventurieri senza scrupoli e che qui, talvolta riuscivano anche a trovare riparo, tra le cale nascoste dello stesso litorale (lo dimostrano alcune denominazioni topografiche come il torrente dei Corsari e il villaggio di AcquaLadroni), la realizzazione di tali torri avviene secondo uno schema ben studiato e molto diffuso nell`"edilizia militare" dell'epoca.

Le Torri avevano una larga base circolare che, attraverso una stretta scala che correva lungo tutto il loro perimetro, era collegata ai piani superiori, dove il "torraro" aveva dimora insieme al suo mortaio, prima e strenue difesa contro l'incursione dei predoni, subito segnalata agli abitanti dei vicini villaggi costieri con fuochi e segnali acustici. Oltre ad essere avamposto per la difesa e la protezione militare del territorio, le torri costituivano, anche, luogo di ritrovo e punto di incontro per le attività di scambio commerciale che interessavano tutta la zona, e, a seconda della loro diversa fruizione da parte della popolazione e la loro stessa collocazione ambientale, si possono suddividere in tre diverse tipologie: di costa, di prime pendici, di entroterra.

Le torri di costa venivano costruite a poche decine di metri dalla spiaggia e rappresentavano la prima barriera contro l'avanzata dei nemici provenienti dal mare. Oggi, queste, sono state trasformate in lanterne di segnalazione e le più note sono quelle di Mazzone 6, Cariddi 8, Saracena 9, Raineri 10.

Le torri delle prime pendici, invece, sono ubicate in prossimità di nuclei religiosi o di piccoli centri abitati, quali il Mulino fortificato lungo il Torrente dei Corsari vicino il villaggio di Massa San Giorgio o quelle di Ortoliuzzo 1 e Marmora 3.

Le torri, infine di entroterra, grazie all'altitudine della loro collocazione, riuscivano a dominare su una vastissima porzione di mare e di terraferma e costituivano i più importanti centri di difesa e di guardia per la popolazione. Tra queste ricordiamo la Torre Benini presso il villaggio di Salice e il Torrione di Contesse che sovrasta tutta la vallata del san Filippo.

- di Denise Vrenna -

Il castello di Montalbano Elicona sorge nel piccolo borgo medievale di 2.526 abitatanti, uno tra i più antichi nuclei dell’area nebroidea. 

La tradizione narra di una prima edificazione avviata a pochi chilometri di distanza  dall’attuale centro, probabilmente interrotta a causa di problematiche territoriali, che indussero alla scelta dell’odierno sito per la fondazione.

Ubicato nel  centro urbano del paese, il castello affonda le proprie origini nel primo secolo dell’anno 1000.

Sottoposto poi, nell’arco della sua storia, a numerosi successivi interventi di rinnovo, subì una ricostruzione integrale nel XIV sec. ad opera di Federico III d’Aragona, probabilmente negli anni compresi tra il 1302 ed il 1311, entrando a far parte del progetto di difesa del territorio.

Il complesso edilizio, infatti, situato a 900 metri di altezza, soddisfava l’esigenza di controllo esercitata sulla valle sottostante, dominando il percorso compreso tra i Nebrodi ed i Peloritani.

Le modifiche succedutesi nel tempo fecero sì che sul primo nucleo di origine normanna si innestassero motivi aragonesi, rivolgendo  i successivi interventi al fine di impiegare la struttura come residenza baronale trecentesca, casa gesuitica (per scelta di Giacomo Bonanno Colonna che nel 1805, afflitto dai debiti, cedette il castello) e sede del Comune (1921).

Il complesso si erge su pianta quadrata a corte con tre ali edilizie e mastio su affioramento roccioso, ormai pericolante ed assalito dai rovi.

Gli accessi sono presenti sui rispettivi fronti, occidentale ed orientale: l’uno aggettante sulla corte e l’altro sormontato da un arco a sesto acuto.

L’esterno conta due ordini principali e si caratterizza per la presenza di numerosi portali e feritoie sormontate da diciotto grandi finestre.

Eterogeneo è l’uso dei materiali, il cui impiego varia dai laterizi, alla malta, alla pietra arenaria.

Recentemente restaurato e di attuale proprietà del Comune, il castello ha conservato la struttura essenziale, concedendo i propri spazi e la forte carica suggestiva da essi esercitata sui visitatori, all’allestimento di mostre, manifestazioni e spettacoli teatrali, aprendo le proprie porte alle visite pubbliche.

- di Denise Vrenna -

 

Il Castello di Librizzi sorse alla metà del XIV secolo, elevandosi inizialmente con il nucleo originario dell’alta torre, attorno alla quale Giovanni III d’Aragona (nel 1392) fondò l’insediamento di Librizzi.

Le fonti attribuite a Vito Amico, attestano che la fortificazione del casale spetti a Bartolomeo, figlio di Vinciguerra d’Aragona: “sorgendo in quel luogo una torre, di diritto vescovile, ed assegnata la città in clientela di Vinciguerra Aragona, avendo questi il tutto usurpato, edificò il di lui figliuolo Bartolomeo il paese intorno la fortezza, che per la di lui fellonia diede in dono il re Martino ad Eleonora Centelles".

Purtroppo il castello non è più visibile, soppiantato nel territorio interessato dalla costruzione della Chiesa Madre e di due istituti scolastici.

Dell’antica costruzione non rimane altro che l’apporto delle fonti. 

- Denise Vrenna -

 

Il Castello di Gioisa Guardia, nel comune di Gioiosa Marea, si eleva presso il territorio roccioso della Val Demone, dalla cui altura godeva del controllo sul golfo di Patti e sulle principali direzioni marinare.

Nel XIV secolo è ricordata la fondazione dell’insediamento ad opera di Vinciguerra Aragona che, nel 1366, ordinò anche la costruzione del fortilizio citato nelle fonti del 1558 come “piccolo Castel di Gusa”.

All’interno della struttura, dovevano trovarsi con molta probabilità un numero non ben definito di cisterne, ravvisabili da alcuni resti.

Fortemente danneggiato dal terremoto del 1738, il castello è di proprietà privata e ridotto a ruderi che non consentono una completa rilettura architettonica del complesso. 

- Denise Vrenna -

 

Il Castello di Giardini Naxos affonda le proprie origini nell’epoca tardo medievale, tra i secoli XIII e XIV.

Non esistono fonti che attestano la precedente esistenza di un complesso fortificato presso la località in questione.

Camilliani cita il complesso nel XVI secolo, parlando di un “tappeto molto accomodato con una torre”, descrizione confermata dall’abate V. Amico, pur essendo difficile comprenderne la struttura dall’apporto dei soli documenti giunti a noi.

Il Castello, appartenente alla Corona Spagnola, svolgeva un’azione di controllo sul porto e sulla baia, insieme alla Torre Vignazza ed al Basso Torrione.

Primo proprietario del complesso, nel 1582, fu Don Cesare Statella, nobiluomo catanese, seguito dalla famiglia De Spuches (marchesi di Schisò e Gaggi che ospitarono, per circa tre giorni del settembre 1713, il sovrano Vittorio Amedeo II di Savoia), dal ricco messinese Giovanni Conti (metà 1800), dalla casata dei Lombardo Alonco (fino al 1900) e dall’attuale proprietario: la famiglia Paladino.

Sottoposte a numerose modifiche nel 1500, delle fattezze originarie rimangono due torri cilindriche a scarpata, che permettono un’ipotetica ricostruzione planimetrica di forma quadrangolare.

Internamente si ravvisa la presenza della Chiesa di San Pantaleo e di una struttura adibita alla lavorazione della canna da zucchero, successivamente sostituita da una fabbrica di derivati agrumari edificata nel 1800.

 

Attualmente il Castello, a contatto con il Parco Archeologico di Naxos, ben si presterebbe ad accogliere eventi e manifestazioni. 

- Denise Vrenna -

 

Il Castello di Galati Mamertino viene fatto risalire, a parere di molti studiosi, all’epoca araba, diversamente da coloro che ne sostengono le origini normanne.

Già esistente nel XII secolo, la struttura contava su ampi spazi, numerose camere interne e cisterne.

Nel tempo fu utilizzata anche come prigione, adibendo i propri locali alla reclusione dei delinquenti.

Già nel 1150 Edrisi descrisse Galati come “difendevole fortilizio tra eccelse montagne e popolato e prosperoso”.

Nel 1276 Bernard De La Grange fu signore del casale di Longi e di Galati, mentre nel 1291 gli stessi territori vennero ceduti da Federico a Riccardo Loria.

Nel 1392 Galati fu conquistata da Bartolomeo d’Aragona e citata nel 1558 come centro fortificato, tristemente ridotto a rudere già nel 1750, come attestano le fonti attribuite ad Amico.

Attualmente il Castello è considerato proprietà del Comune.

Si tratta di ruderi visitabili che difficilmente ne consentono una determinazione planimetrica o temporale.

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