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Lettera aperta al Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Messina

 

Palanebiolo      -     di Pietro Saitta -

Nell’Ottobre del 2013, in conseguenza dell’ennesima emergenza umanitaria legata all’arrivo di centinaia di uomini e donne in cerca di scampo da condizioni politiche e sociali devastanti,l’Università degli Studi di Messina ha generosamente accolto l’invito della Prefettura e delle autorità competenti ad accogliere temporaneamente, in attesa di una soluzione adeguata, dei richiedenti asilo in una delle sue strutture.

In particolare l’Ateneo ha accettato di mettere a disposizione dei migranti e delle autorità il “Pala Nebiolo”, uno dei suoi plessi sportivi d’eccellenza, individuato dalle forze dell’ordine come idoneo dal punto di vista della sicurezza e, pertanto, preferibile ad altre strutture pure proposte dai vertici dell’Università.

Centottanta rifugiati, tra cui alcuni minori, sono stati così riversati all’interno del suddetto palazzetto dello sport e disposti in una grande camerata, rivelatasi presso insufficiente dal punto di vista della qualità abitativa e dei servizi; al punto che le autorità sanitarie si sono trovate costrette a segnalare le carenze igieniche dei locali. Non a caso, avveduta dell’inadeguatezza di questa sistemazione, la Prefettura di Messina ha per tempo previsto l’innalzamento di una tendopoli nel campo da gioco del plesso sportivo, in cui dislocare i richiedenti asilo in attesa di un loro trasferimento presso centri di accoglienza attrezzati.

Mentre non si può fare a meno di apprezzare l’umanità dei vertici dell’Ateneo, occorre però chiedersi se emergenze di questa natura – peraltro nel caso in questione assai contenute in termini assoluti – possano giustificare da parte della Prefettura soluzioni di questo tipo. Soluzioni, cioè, degne di ben altri numeri e circostanze, come per esempio quelle risultanti da sismi e disastri che causino diverse migliaia di sfollati e non lascino in piedi strutture adeguate ad accoglierli.

Una decisione che riteniamo inaccettabile in generale e, ancor di più, in prossimità della stagione invernale.

Il numero oggettivamente contenuto di richiedenti asilo in cerca di sistemazione provvisoria non giustifica certamente l’impiego di palazzetti e tendopoli, il cui uso richiama situazioni da “stato di eccezione”, luoghi e logiche concentrazionarie la cui genealogia va rinvenuta in momenti nefasti della storia contemporanea – per esempio lo stadio di Santiago del Chile all’indomani del colpo di Stato di Pinochet o quello di Bari successivamente alla prima ondata migratoria albanese – assurti, infine, a drammatica normalità (come dimostrato dal caso dell’accoglienza dei rifugiati a Messina).

Luoghi e momenti, insomma, in cui si sono consumati alcuni degli avvenimenti topici  dell’autoritarismo successivo alla Seconda guerra mondiale.

Crediamo che una vicenda apparentemente minuscola e transitoria come quella che si consuma al “Pala Nebiolo” faccia in realtà parte di un fenomeno tristemente connaturato alla modernità come quello del “campo”, lo spazio di confinamento di quella “nuda vita” esposta, nei termini di Agamben, “all’assoluta impossibilità di decidere tra fatto e diritto, tra norma e applicazione, fra eccezione e regola, che tuttavia incessantemente decidono di essa”. Un’impossibilità, tra l’altro, resa tangibile da testimonianze dirette relative a persone lasciate prive di cure adeguate, pur in presenza di risultanze da arma da fuoco agli arti inferiori, lacerazioni della pelle, fratture, scabbia e altre condizioni mediche di una certa gravità. Come accennato, una persona presentava una frattura a un arto inferiore derivante da ferita d'arma da fuoco, ed è stata tenuta senza cure per settimane. Il ricovero di questo richiedente asilo è avvenuto solo grazie all’interessamento degli attivisti impegnati nella zona. Ma casi simili, solo apparentemente meno eclatanti, sono tutt’altro che isolati.

Inopinatamente, e con intenzioni certamente ben più nobili, la struttura sportiva del nostro Ateneo è entrata a fare parte di una tragica storia di contenimento e sostanziale limitazione dei diritti, in ragione della scelta delle autorità competenti di tenere insieme centinaia di persone all’interno di una struttura inidonea a ospitare esseri umani per più di qualche ora e del rifiuto netto a distribuirle nel territorio, all’interno di una pluralità di spazi appositamente attrezzati.

In ragione di queste considerazioni e per potere meglio assecondare quei principi che lo hanno certamente indotto a concedere quello spazio, nel nostro ruolo di docenti universitari, ricercatori, studenti e cittadini democratici, chiediamo al Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Messina, prof. Pietro Navarra, di volere revocare la disponibilità espressa all’impiego del “Pala Nebiolo” e di volere eventualmente mettere a disposizione dei richiedenti asilo presenti nellanostra città altre strutture universitarie appositamente attrezzate per l’ospitalità ed accoglienza delle persone – restituendo così l’impianto sportivo agli studenti e agli atleti che ne costituiscono l’utenza naturale. Una revoca, peraltro, resa facilmente praticabile dall’apposita requisizione, apparentemente attuata dal Comune di Messina, del villaggio turistico “Le Dune”: struttura messa a disposizione dell’autorità prefettizia per l’accoglienza dei migranti.

Ultima modifica il Mercoledì, 27 Novembre 2013 07:15
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