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La Sicilia prima dei Greci, il giardino dell'Eden.

fig.001 - giardino eden

-  di Antonio Cattino -

I- Ci hanno sempre detto che l’antico nome della Sicilia, Trinacria, (l’isola dalle tre punte), è stato coniato dai greci, ma la verità è che loro approdando per la prima volta in Sicilia, scoprirono che l’Isola già era chiamata così dai suoi antichi abitatori, i Siculi .

Quando questi ultimi provenendo dall’alta valle del Tevere si affacciarono dalla rocca di Scilla intorno al 1200 a.c., nel vedere aldilà del mare, la verde e rigogliosa propagine del Peloro che culminava a Capo Faro, con colline alberate degradanti verso il mare, ed ai piedi di essa la stretta pianura alluvionale, intramezzata da piccoli stagni, da paludi e canneti, rigogliosa di piante mediterranee, non poterono trattenere un grido spontaneo partito dalle avanguardie della colonna, destinato a propagarsi in ondate successive per tutte le tribù: TRINAKRIA !!!... nome che i viaggiatori siculi avevano riportato al ritorno delle loro visite in Sicilia, e che forse avevano appreso dai loro cugini etnici, abitatori dell’Isola, fin da epoca più remota, si pensa 800 anni prima, provenienti dalla Spagna, dove erano approdati in epoche più antiche, ossia i Sicani. Sulla base delle poche iscrizioni che ci hanno lasciato è possibile ipotizzare che i Siculi parlassero una lingua di diretta derivazione dal sanscrito, così come gli Etruschi i quali però hanno lasciato una documentazione scritta più copiosa, mentre pochissimo sappiamo invece dei Sicani e della loro lingua. Ritorniamo alla Trinakria poiché a seguire questi percorsi della protostoria mediterranea potremmo perderci per strada, il fatto certo è che in lingua Sanscrita TRINA significa: vegetazione, erba,parco,bosco,giardino; mentre KRIA singnifica: fatta, creata, costituita (corrispondente al latino CREO) o rimasta nel sicilano : CRIA/TURA. “I Siculi quindi,alla vista di tanto splendore,”scrive il prof.Alfredo Rizza,nel suo saggio”Origine Orientale del Siciliano” casa editrice Marna,2008,”non trovarono di meglio che identificarla con il Giardino dell’Eden, ed infatti la chiamarono TRINAKRIA cioè GIARDINO.” Iniziò così con un amore a prima vista la storia, ancora non scritta della Sicilia; infatti i Siculi cominciarono a scrivere nella loro lingua, con la venuta dei Greci, adottandone l’alfabeto greco e non l’idioma, e fecero ciò lo intorno al V °secolo a.c., per l’esigenza di poter comunicare con i nuovi venuti, trattare affari commerciali, intrattenere rapporti di vicinato. In città come Zankle e Siracusa,dove i Siculi venivano chiamati spregiativamente dai Greci con l’appellativo di Killikirioi (asini) vi era un regime di bilinguismo ed il toponimo Zankle o Dankle ( la falce) (l’odierna Messina) era stato dato dai Siculi, termine che i greci non cambiarono, ma anzi incorporarono nel loro glossario per indicare la falce.

II - La cultura sicula era una cultura certamente molto primitiva, di tipo agro pastorale, dove avevano spazio temi come l’amicizia, la famiglia, l’appartenenza nazionale o anche i fenomeni della natura, il regno animale, il volgersi delle stagioni, la fertilità della terra, l’acqua ed il sole, la fede alla parola data, il culto dei morti. Si sono tramandate notizie su danze rituali, specie in occasione di matrimoni e funerali, cosa che si riscontra ancor oggi in alcuni paesi dei Balcani,come la Bulgaria o l’Albania, nazione quest’ultima la cui lingua è molto contaminata dal lessico siculo ( da notare che i Siculi prima di passare definitivamente in italia, stazionarono per lungo periodo in quei territori che oggi formano l’Albania.) La penisola Salentina, poi, interessata dal flusso più intenso degli sbarchi, ed in cui diverse tribù sicule si radicarono, diventando forse Messapi, conserva una lingua molto simile al siciliano, tanto che gli studiosi e gli organismi internazionali preposti allo studio delle lingue, la considerano una variante della lingua siciliana, come del resto lo è il calabrese del Reggino nella bassa Calabria.

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Ceramica ed amuleti ( Dea Madre) di epoca cicladica rinvenuti a Messina, 2000/2400 a.c.

II - Quanto alla produzione culturale ed artistica dei Siculi, in mancanza di testimonianze attendibili, non disponiamo di testimonianze letterarie ma possiamo ipotizzare, sulla base degli strumenti musicali tramandati ( il flauto singolo o fischietto o la sua versione multipla del flauto di Pan, lo scacciapensieri detto comunemente marranzano che fu prima di canna e poi di metallo, il tamburo in varie espressioni ma non è escluso che conoscessero l’arpa ) che la musica accompagnasse le danze corroborate quasi sempre da ricche libagioni di vino.

Dagli storici greci apprendiamo che avevano una alta conoscenza dell’arte della politica, come dimostrato da alcuni fatti importanti:

A) La costituzione della federazione con i Sicani e la fondazione di una capitale unica, sita forse vicino ad Enna, significativamente chiamata “TRINAKRIA” quindi la “Città Giardino” dove i re si alternavano periodicamente fra l’etnia Sicula e quella Sicana.

B) L’epopea e l’azione politica del grande condottiero siculo Ducezio che nel 453 ac iniziò una lunga guerra di liberazione contro i Greci, fondando la lega delle città Sicule e da esse venne proclamato RE, dopo varie alterne vicende, sconfitto e costretto in esilio a Corinto, dopo 4 anni ritornò in Sicilia ed elesse Calè Acte (Caronia) come sua ultima capitale; dopo la sua morte rimase nella memoria dei Siculi-Siciliani come il primo RE di Sicilia. IV - La religione dei Siculi si interessava ai fatti ed ai fenomeni della natura, all’alternarsi delle stagioni; le divinità erano quindi Demetra, personificazione della Madre Terra e mutuata probabilmente ed associata nei Siculi al culto di Core, dea della fecondità, era presente anche Gaia la dea che emerge dalla natura agricola e ne diviene protettrice. Un culto particolare, autoctono e non importato fu per i Siculi quello di Adranon, rappresentato da un cane che aveva un grande santuario alle falde dell’Etna protetto, si dice, da mille cani, certamente centinaia di molossi che, addestrati dai sacerdoti del tempio, non aggredivano i pellegrini durante il giorno, anzi familiarizzavano con essi, guidandoli nelle visite, culto associato a quello per la divinità ETNA, nell’ovvia individuazione nel Vulcano la Madre del territorio siciliano. Insieme a quello per Adranon, assunse una grande valenza nazionale per i Siculi il culto dei Fratelli Palici, una coppia di gemelli abitatori del le profondità della Sicilia, dei due laghetti di Naftia, alla periferia di Palagonia, ancora esistenti situati nelle campagne fra i Comuni di Mineo (Minoa ) e Palagonia (Palikè- Trinakrie) , oggi non più visibili in quanto inglobati in uno stabilimento industriale, furono sede nell'antichità del culto dei fratelli Palici, divinità Ctonie. La leggenda,tramandataci da Diodoro Siculo,e da altri storici greci e romani dice che nelle profondità del laghetto, abitavano i due fratelli figli di Giove Etnio e della Ninfa "Thalia", ai margini del lago vi era un tempio arcaico, molto suggestivo, con un portico monumentale colonnato, dove si amministrava il culto, sede di una confraternita di religiosi che, ispirati dalle due divinità, discernevano il vero dal falso nei giuramenti, punendo con la perdita della vista ogni spergiuro. Infatti spesso qualche convenuto veniva visto uscire privo della vista dal tempio, poichè esposto nel pronunciare il giuramento ai vapori e alle esalazioni che uscivano dalle acque del lago, ne era stato leso proprio nella vista... Altrimenti veniva scritto il giuramento su una tavoletta di argilla, e se il giuramento o l'impegno era veritiero la tavoletta sarebbe riemersa a galla sospinta dai ribollii delle acque. Fin qui la leggenda dei fratelli Palici su cui non mi dilungo oltre. Le espressioni siciliane " Orbu 'i l'occhi avissi addivintari, si non dicu la verità" = "se non dicessi la verità dovrei diventare cieco degli occhi" (o simile) o "la verità veni sempri a galla"... derivano da quel popolo che visse in Sicilia fin dal 1200 avanti Cristo, e che ci ha donato tramandandolo eroicamente, spesso, vocaboli come il verbo TALIARI (guardare)...dal Siculo THAL (guardare), AMMUCCIARI da AMUC-CIAR (velare - nascondere) o modi di dire, simili a quelli illustrati. Risalta infine quella innata consuetudine di accompagnare il nostro parlare con una espressiva gestualità, usanza che ci fa pensare che essa era l'unico modo per comunicare con i forestieri ed i conquistatori (come i Greci o i Fenici o gli stessi Romani) che parlavano lingue molto distanti e sconosciute.

ANTONIO CATTINO – nota del 12 maggio 2013, rivista nel mese di Marzo 2016.

note: riferimenti storico-linguistici, *" La Lingua dei Siculi" di Enrico Caltagirone - Marna Edizioni – 2003 ;*Saggio del prof.Alfredo Rizza,”Origine Orientale del Siciliano” casa editrice Marna,2008”;*Consultazione del saggio“Storia dei Siculi” di Claudio D’Angelo, editrice Drepanum 2015.

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